La gratuità che salva


Il testo di Luca del vangelo di oggi descrive il comportamento di un forestiero ritenuto moneta falsa eppure giusto e solidale come un susseguirsi di azioni espresse da verbi. Non hanno i tratti di un agitarsi affannato. Sono piuttosto i tempi di una reale assunzione di responsabilità, quando l’Altro irrompe nella vita propria fino a modificarne il programma e il tragitto. Possiamo cogliere in questi verbi quasi l’indicazione di un percorso (di un “metodo”) che dall’individualismo narcisistico conduce all'esperienza interpersonale e sociale piena.
Questo processo è innescato dal dono, che ha però le caratteristiche esigentissime della gratuità e, al tempo stesso, della giustizia compiuta.
Il samaritano dona il suo tempo, cioè la sua persona, la sua agenda, la sua storia. La sua azione è espressa in un racconto, costruita su un elenco verbi: si fece vicino, fasciò le sue piaghe, versò sopra olio e vino, lo mise sulla propria cavalcatura, lo condusse a una locanda e si prese cura di lui. Il giorno dopo, prese due denari...
La sconfitta e il superamento dell’individualismo, inizia da un atteggiamento interiore che precede qualsiasi azione e la stessa comunicazione verbale. L'Altro è colto nella sua concretezza: prendo coscienza di chi mi sta accanto, mi metto al suo posto, entro “nei suoi panni”, (“em-patia”). Colgo l'Altro del tutto analogo a me, prendo coscienza dell'appartenenza mia e altrui a una medesima umanità, a una comune storia.
Tutto quindi inizia da un atto di empatia, il mettersi nei panni dell’altro e culmina nel “prendersi cura”, atteggiamento che rappresenta la maturità dell’incontro e segna la sconfitta definitiva dell'identità narcisistica.
Nell’empatia e nella cura, l'Altro si impone, nel modo più radicale, come una priorità. E’ l'Altro ad avere il diritto. Io ho solo il dovere di riconoscere e di accogliere, di arrendermi davanti al suo bisogno. In questo modo l'individuo smette di centrarsi autisticamente sui propri bisogni (e diritti) e impara ad accogliere chi entra nel proprio mondo e chiede riconoscimento. Ogni relazione riuscita è sempre un lavoro di cura.
Il processo non termina però qui. Il donatore non è sufficiente a compiere l’opera. “Lo condusse a una locanda”. L’albergatore rappresenta le istituzioni di cura del tempo. Esse non sono gratuite, devono essere pagate. Il denaro era, allora come oggi, figura e codice del sistema economico. Alle istituzioni si chiede che siano giuste, non generose. Esigono quindi il controllo critico dei cittadini. Il samaritano ripasserà al suo ritorno.
Mettersi nei panni dell’Altro, prendersene cura, all’interno di istituzioni giuste: sono i tre passi della relazione d’aiuto.
Sulla gratuità tuttavia Gesù è molto esigente. Il donatore salva la vita al donatario che tuttavia mai verrà a sapere del samaritano. I due nella parabola nemmeno si parlano. Il donatore eventualmente ritornerà ma solo per pagare nel caso in cui l’albergatore spendesse di più.
Non si sviluppa, attorno a un dono che salva la vita, alcun riconoscimento, né riconoscenza. Non avviene alcuna restituzione né si attiva alcuna relazione interpersonale sociale. Il samaritano dona il suo tempo, la sua premura e il suo denaro solo perché è giusto e non può non farlo. Al dono non succede alcuna reciprocità, non avviene alcuna comunicazione verbale. I due non si parlano. Chi ha ricevuto un dono che gli ha salvato la vita, non saprà mai nulla del suo donatore. Questo silenzio è imbarazzante. Insegnava Socrate che le parole sono “pharmaka”: rimedio e, insieme, veleno. La parola può mentire, può creare dipendenza e plagio, se usata da mercanti (i sofisti). Nella gratuità non c’è traccia di ambiguità. Il samaritano dà la vita e sparisce, per sempre.

 




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