"Non è qui". Il sempre oltre di Cristo


Il modo che i cristiani hanno per vivere quotidianamente la Pasqua è fare del battesimo la loro grazia e la loro regola, perché il battesimo scaturisce dal mistero dell’evento pasquale. Non è purificazione dall’acqua, non è culto della fertilità. È con-morire per con-risorgere con Gesù, come spiega s. Paolo, inventando due verbi che non esistono nel vocabolario greco per dire la novità assoluta della fede.
Vissuto così, il battesimo contiene il segreto di tutto l’umano.
Pensiamo al prodigio della nascita.
Siamo stati concepiti da un atto d’amore ma siamo nati nel pianto (un travaglio che solo la madre conosce). La vita che nasce, gioia indicibile per i genitori, erompe da un urlo di dolore, da un taglio sul vivo. È la medesima regola della natura, del germoglio che spunta dal seme che marcisce. La risurrezione che germoglia dalla croce. Perché la gioia deve passare dal dolore? È una maledizione dell’umano? No: è la condizione della vita. Per crescere bisogna separarsi, e ogni separazione è una lacerazione. Dal taglio del cordone ombelicale alla separazione della morte, questa è la regola.
Il vangelo è la storia dettagliata del trionfo della vita, che cresce di separazione in separazione. Lo sa bene Maria, la Madre. La spada che deve trafiggerle l’anima – nella profezia di Simeone - è la stessa che il figlio porterà nel mondo: “Se uno viene a me, ma non odia il padre, la madre...” Pensiamo al vissuto di Maria. A Gerusalemme perde Gesù dodicenne. Lo cerca angosciata, ma Gesù rivendica la sua libertà. Lui si deve separare dalla famiglia per seguire la sua vocazione. A Cana chiede l’intervento del Figlio ma lui le risponde: Che c’è tra me e te? Come puoi pretendere di conoscere la mia ora? Poi Gesù si perde nella folla; lei vorrebbe almeno vederlo, parlargli un istante. La risposta del figlio pare scostante: “Chi è mia madre? Ogni discepolo è mia madre”. Maria impara la maternità dal soffrire. È piena di grazia perché può sopportare questi strappi. Suo figlio non può essere compreso.
Quale dolore la separazione! La gente attorno a Gesù non lo capisce. “è fuori di sé”: pensano alcuni. Sì, Gesù è sempre fuori, sempre oltre. Ospite ovunque, mai a casa. Anche sulla croce: “Donna, ecco tuo figlio”. È questa separazione che genera la Chiesa. La madre sa che solo rinunciandovi, resterà sempre con il figlio. Per questo Maria è ai piedi della croce ma non va al mattino presto al sepolcro; è nel cenacolo ma non c’è alcuna apparizione del risorto a sua madre. Non c’era bisogno: la sua fede non aveva dubbi. La tensione prodotta dalla separazione rende il Filgio e la Madre inseparabili, per sempre. Lei, l’assunta in cielo.
Gesù non può essere trattenuto. È questa la risurrezione. Egli risorge sempre da ogni qui: “è risorto, non è qui”. La Maddalena che tanto lo amava vorrebbe abbracciarlo, ma il maestro si nega e le risponde: “Non mi trattenere”.
Quanto morire perché la vita nasca! Anche per noi.
Quanto impegno per far crescere un figlio! Quanto dolore perché una parrocchia cresca nell’unità! Quanta passione per fare qualcosa di bello! Quali lacerazioni per diventare una comunità aperta al mondo, quale lavoro per abbattere le barriere, quale fatica per aprire la mente!
Nella sconfinata libertà di Gesù, la vita è sempre oltre.
Questa libertà è donata anche a noi, se accettiamo di uscire fuori da ogni vuota abitudine, da ogni pregiudizio della mente, da ogni condizionamento del costume.
La risurrezione è il “sempre oltre” di Gesù.
La Pasqua è l’andare “ancora oltre” di tutti noi.
È la legge della crescita di ogni umana bellezza, della semina nel pianto e del raccolto gioioso, del riso e del pianto, sempre intrecciati. Con una garanzia però: che alla fine, anche quando si passa per il tormento più angoscioso, vincerà la gioia. Conmorire per conrisorgere.

 




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