Ciò che conta è agire. Ma come?
Il figlio rispose al comando del padre: “Non ne ho voglia; ma poi, si pentì e ci andò”.
Quello che conta è ciò che fai, il cambiamento che operi. Non ha valore continuare a ripetere “Signore, Signore!”. Fa la differenza solo l’agire concreto. Pubblicani e prostitute possono passare avanti ai “giusti” e ai “sani” nel regno di Dio, quando credono e operano.
Possiamo accedere alla vita credente e spirituale solo nella dura dinamica dell’azione. Essa non si dà in uno stato costante ma solo nelle intermittenze della quotidianità, nella continua scelta tra opposti: la correlazione-contrapposizione della sussistenza (la vita vegetativa), del sentirsi vivi (la sensibilità) e della consistenza (la fede). La necessità quotidiana (fisiologica e psicologica) ci induce inevitabilmente verso la sussistenza (vivere per lavorare, per fare…). Ci consumiamo alla vita vegetativa. La sensibilità ci sospinge all’umanizzazione dei bisogni e delle pulsioni (lavorare per vivere). La regressione tende a far dimentica anche le più faticose conquiste, in un movimento verso il basso (S. Weil) umiliante eppure irresistibile. Senza l’esperienza spirituale (e la sua estetica) anche la sensibilità tende verso la mera vita vegetativa. La consistenza chiama l’esistenza a superarsi costantemente. Non ci è dato, però, di essere sempre consistenti in atto (che è privilegio di Dio, secondo Aristotele). Vestiremo molte volte i panni dell’altro figlio: “egli rispose: Sì, signore; ma non andò”. Nell’intermittenza dei Sì e dei No, conta l’azione. Questo passaggio richiede molta cura. I greci la definivano con la parola “epimeleia” che significa dedizione, abnegazione ma anche culto. Decidersi all’atto richiede disciplina, attenzione, acquisizione di capacità (in greco “gumnasia”, esercizio). Queste pratiche che sono delle “terapie” con cui ci prendiamo cura di noi stessi e degli altri. Costituiscono per eccellenza il senso delle opere dell’arte e dello spirito (il bello e il sacro). Esse conducono alla gioia, quello stato di meraviglia e di vitalità che accompagna anche l’esistenza più dura, e che s. Paolo definisce come opera dello Spirito.