L'amore giusto
Il ragionamento di Pietro è perfetto. Ha appeno fatto la sua professione di fede ed è stato riconosciuto dal Maestro come solido come una pietra. Gli è stato affidato un incarico: tenere le chiavi, cioè prendersi cura, reggere tutta la comunità. Pietro parte subito deciso a guidare il gruppo, a “mettersi davanti” per segnare il cammino.
Gesù confida ai dodici la verità delle cose: i giorni sono contati. Le autorità e i leader del popolo hanno deciso di eliminarlo. L’intento lo avevano già dichiarato da tempo ma ora sono pronti: “Il Figlio dell’uomo sarà ucciso”. La sconfitta è certa, totale, senza scampo.
Pietro però non ci sta: “Ma che cosa dici? Abbiamo lasciato tutto per stare con te, finora hai avuto successo e riconoscimento in mezzo alla gente! Non puoi darti per sconfitto. Se catturano te, siamo finiti anche noi! Piuttosto evitiamo di andare a Gerusalemme. Ritiriamoci in una regione più sicura…
E poi: “Tu sei potente, sei intelligente, sei vincente! Sei destinato alla gloria! Sei il messia!
Noi teniamo molto a te! Siamo tutti con te, non mollare!”.
Gesù fa vedere a Pietro che il suo ragionamento è esattamente quello di Satana, contro cui aveva dovuto lottare nei giorni del deserto. “Pietro sei diabolico! Mi sei di scandalo”. E lo richiama subito alla realtà: “Stai dietro a me”.
Davanti a noi ci sono sempre due strade: vivere secondo ciò che conviene (o è utile) o secondo ciò che è giusto.
Era giusto tacere o piuttosto parlare davanti alle autorità religiose e politiche? Scappare o andare avanti? Rinunciare o andare fino in fondo?
Il medesimo dramma lo visse Geremia. Secondo la sua indole lui avrebbe volute stare in campagna, vivere in pace con tutti, fare l’agricoltore e sposarsi. Seguì ciò che comprendeva essere giusto, che gli si presentava forte e incontenibile come il fuoco e lo travolgeva come una passione (si sentiva come sedotto, dice il testo). Non realizzò nulla di ciò che tanto amava: non si sposò, non face il contadino, non abito in campagna, visse in conflitto fino alla fine dei suoi giorni.
Scegliere ciò che è giusto può essere molto diverso da ciò che conviene e che si ritiene adatto (ma non giusto) per sé. Tutta la storia lo dimostra: “Chi vorrà salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia, la troverà”.
Il vero coincide con il giusto che è l’unico criterio della vita e viene prima ancora dell’amore (si possono amare cose non giuste, o in modo non giusto). Il resto è vanità. La bibbia non conosce l’ateismo. Considera solo due alternative o Dio (il Giusto) o gli idoli (l’inganno). I profeti non concedono nulla alle nostre auto-illusioni consolatorie. Ascoltare la voce del Dio biblico è occuparci di giustizia.
Viviamo il tempo della fine della critica al capitalismo, proprio ora in cui il capitalismo globalizzato, finanziario e tecnologico ha raggiunto il suo strapotere. Non riusciamo a vedere la questione etica del mondo perché ci manca il criterio del bene comune. Oggi c’è un bisogno estremo e vitale di profezia. Ci vogliono persone che ne assumano le conseguenze, per guarire il mondo.
Se il dolore per il proprio insuccesso o la preoccupazione di offendere e urtare gli ascoltatori avessero frenato le parole di Gesù (e prima quelle dei profeti), noi non avremmo oggi parole forti e credibili per denunciare le idolatrie degli ateismi e delle religioni del nostro tempo. Cercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, insegnavano i profeti (Is 1,16). “Beati voi poveri…” diceva Gesù. Agire a favore della giustizia è la sola possibilità per un’autentica vita religiosa. Le esperienze religiose che dimenticano i poveri al punto da non vederli sono idolatrie. Non si può seguire il Dio biblico senza i poveri. Pregare, cantare, lodare ma perdere contatto con i poveri, non impegnarsi a cambiare le leggi e a migliorare le condizioni, è già idolatria. La sola strada che ci conduce lontano dagli idoli è quella percorsa insieme ai poveri.