Dio, amante della vita
Gesù entrò nella città di Gèrico e la stava attraversando… Le giornate di Gesù si svolgono così: immergersi nella folla, incontrare la gente che lo vede e ascolta volentieri. La folla è incuriosita e interessata perché ne spera un aiuto. I loro bisogni sono domande che Gesù sente rivolti a sé. Alla folla il vangelo è annunciato ma anche reso evidente, compiuto.
Ai discepoli è spiegato il significato che comporta la predicazione del vangelo.
La folla è curiosa e stupita di fronte alle opere di Gesù, lo ascolta, ma spesso non va oltre. In diverse occasioni si mostra inaffidabile. Il discepolo, invece, nonostante le esitazioni e le paure, ascolta e cerca di credere. La folla torna a casa; il discepolo rimane, fa vita comune e itinerante con Cristo. La folla è labile: passa facilmente dall’acclamare “Osanna!”, al gridare “Crocifiggilo!”. I discepoli sono donne e uomini che stanno con il Maestro e partecipano direttamente alla sua opera: essere inviati alla folla. La loro formazione avviene nell’intimità quotidiana della frequentazione del Maestro, ma anche lì, sul campo.
Curiosità della gente e sequela del discepolo non coincidono: “Il Figlio dell'uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?” (Lc 18,8).
Nella folla avvengono però incontri decisivi, come quello di Zaccheo, della cananea, della samaritana. Gesù rimane ammirato: “Non ho mai visto tanta fede”, “Va la tua fede ti ha salvato”. Questi incontri trasformano le persone: “Metà di quello che ho, la do ai poveri”
Non tutti questi incontri producono discepoli o, perlomeno, non risulta. Non è necessario.
L’incontro con Gesù è sempre comunque indimenticabile. Al discepolo è stato affidato un compito, ma non garantito il successo. Il discepolo si spende completamente, ma lascia a Dio il risultato.
Venuto meno il costume cristiano, la distinzione tra folla e discepoli è ritornata evidente. Perdere la folla, destinazione del discepolato, è la fine della Chiesa. Comunità “vicina alle case” è quella che cerca di diventare “compagnia degli uomini”, di realizzare la prossimità con le folle. Illusorio e fuorviante la consolazione dei “pochi ma buoni”. La parrocchia missionaria diffida dei “duri e puri”, abbatte i confini e s’immerge nella massa: “tanti e peccatori”. La secolarizzazione ha esteso i confini della folla, ma non si è sviluppata ancora una riflessione condivisa sull’evangelizzazione della folla. Non abbiamo ancora compreso bene la fede di Zaccheo, la devozione della donna con perdita di sangue, l’urgenza dei disperati di toccare la carne di Gesù. Dobbiamo ancora capire pastoralmente come il bisogno umano diventa domanda di Dio, come il desiderio di pienezza si viva nella liturgia come nello svolgersi di ogni giornata. La grande missione dei nostri giorni è dire e far vedere che il Signore, è l’amante della vita, che “ama tutte le cose che esistono” (Sap 11,22-24). Per questo è fondamentale l’indicazione di Paolo, quella di “non lasciarvi troppo presto confondere la mente e allarmare né da ispirazioni né da discorsi” che ci distolgano dalla missione e riducano la fede a una religione della fuga dal mondo e dalla vita.