"Fate attenzione"
La parola che accompagna l’Avvento è racchiusa in un verbo “Vegliate”, “Fare attenzione”. È un esercizio della mente, emozionata e sensibile, attenta quindi a ciò che capita, a ciò che avviene e diviene. Non è un’intelligenza che si limita al sapere ma è la capacità di “leggere dentro”, di cogliere i “segni dei tempi” diceva Gesù.
La capacità di riconoscere ciò che diviene e quindi di essere umani-intelligenti (fermarsi a ciò che avviene non è vivere ma subire) si realizza mediante due facoltà mentali essenziali: la capacità di attenzione e l’attitudine alla cura. Si nasce a se stessi, infatti, solo quando qualcuno ci rivolge la sua attenzione e si prende cura di noi. Il flusso emozionale creato dei mondi virtuali, all’opposto, cattura l’attenzione dei figli e li distrae dal loro attaccamento genitoriale. L’ipersollecitazione pulsionale, la cattura dell'attenzione, la presenza invasiva del controllo sociale depotenziano la cura reciproca. Il deficit di attenzione riduce le facoltà cognitive e le forme vitali, in cui ciò che si perde è la vita mentale (e spirituale).
Nel mondo senza trascendenza (dell’arte e del sacro) si assiste alla liquefazione dei legami, alla riduzione generalizzata del transfert, dove la de-personificazione conduce al deficit di attenzione (Attention-Deficit/Hyperactivity Disorder), alla perdita del desiderio, alle dipendenze, all’ossessione per il cibo, alle malattie della sedentarietà, ai sintomi depressivi, alla “cognitive overflow syndrom”. “Disindividuati” si finisce per credere bastino psicofarmaci e neurolettici; resi “dividui” si vive in continuo confronto e separazione; “desocializzati” ci si rassegna a ridurre il malessere collettivo a disagio personale; “depoliticizzati” si perde il gusto della vita e la coscienza morale.
L’attenzione è la condizione prima dell’empatia, che è la capacità di mettersi “nei panni” dell’Altro, di farsi “nativo” nell’esperienza altrui. È l’attitudine mentale che permette di uscire dal narcisismo. La base umana dell’attenzione si forma in famiglia nella relazione tra generazioni e nel rapporto tra fratelli.
La cura è l’orientamento alla persona, l’atteggiamento che le permetta di percepirsi come unica, di avere valore per se stessa. La cura comporta la presa in carico, affidabile e affettuosa, dell’Altro.
L’individuo diventa persona, si considera degna d’amore solo nella certezza affettiva. In caso contrario, non trova scampo all’angoscia (come nel dolore mentale della “scissione” o negli agiti violenti) oppure si lascia inglobare nel Noi anonimo della massa (come nelle dipendenze o nella distruttività del bullismo).
Attenzione e cura si sviluppano attraverso la dinamica del dono, che costituisce lo stimolo più efficace per la crescita delle persone e per sviluppare relazioni di reciprocità. L'attitudine al dono è un atteggiamento che si acquisisce con molto sforzo e attraverso esperienze particolari: sono gli ambienti vitali, le forme comunitarie di vita, che si caratterizzano come luoghi di crescita a causa dei rapporti che favoriscano, delle dinamiche affettive che mettono in moto, del tipo di oblatività che suscitano. L'esercizio costante dell'empatia nella sfera dei sentimenti e degli affetti, costituisce il percorso adeguato per il superamento dell'immaturità affettiva.
Attenzione e cura rendono così possibile la percezione di sé come individui “unici e originali”, cioè persone. Diventa così evidente che ciò che gli individui hanno di esclusivo è, in realtà una donazione dell’attenzione e della cura di Altri. È possibile diventare se stessi solo insieme agli Altri. Ci si personifica insieme. La persona è quindi un tessuto di paradossi: per trovare identità è necessario entra in relazione con gli altri; per avere consistenza interiore bisogna aprirci al mondo; ci si arricchisce condividendo; ci si riconosce dimenticandosi (superando il narcisismo); per ritrovare se stessi, occorre perdersi per gli altri; ci si sente più appagati in ciò che dà che in ciò che si riceve.
In questi paradossi è già tratteggiato in cosa consista l’offerta di cura e attenzione.
L’attenzione (data e ricevuta) promuove la personificazione (sentirsi unici), attraverso l’affezione (il linguaggio immediato dell'intimità confidenziale e dell'affetto). L’affetto è la capacità di stupore, d’incanto quando ci si orienta alla sua persona, senza calcolo delle apparenze e dei pregiudizi. L’affezione crea una condizione che si pone in aperta contraddizione con la normalità della vita, la quale costringe alla prestazione, espone al confronto e alla competizione, induce all’indifferenza. È un’illusione però che basti l’affetto per creare legami interpersonali solidi. Nella cura avviene un'ulteriore esperienza, di alto valore etico e spirituale. L'Altro dà senso alla mia vita, arricchisce di significati il mio mondo. Questo arricchimento, tuttavia, avviene ad una condizione: che io accetti anche il punto di vista dell'altro, che io consideri, come complementare a me, lui e il suo mondo, in una prospettiva di reciprocità. L’abbandono è il senso del vuoto e la diffusa sensazione d’incertezza che porta la persona a dubitare del proprio valore, della propria normalità, a volte anche degli affetti che lo circondano. Disorientata e smarrita, di fronte alla constatazione della propria inconsistenza, la persona non dispone di altra soluzione che rimuovere ogni desiderio. E' la dipendenza che alla fine diventa struttura stabile, una sorta di Super-Io che compatta un’individualità scissa e frammentata.
Il servizio di cura richiede attenzione e, al tempo stesso la dona.
Chi vi è implicato ha modo di capire e vivere intensamente il “vegliate” evangelico di oggi.