La vera preghiera crocifigge
Marco pone all’inizio del suo Vangelo la descrizione dettagliata della quotidianità di Gesù. Le sue giornate trascorrono prevalentemente con gli ammalati fisici e psichici. C’è un popolo intero da accogliere e da ascoltatore “Tutti ti cercano!”.
Non si capirebbe tuttavia nulla dell’intento di Gesù se si dimenticasse che tutto questo sua gran “darsi da fare” non avesse la sua origine e la sua forza propulsiva nel “fare nulla” della lunga preghiera quotidiana. I luoghi e i tempi sono accuratamente scelti: il luogo deserto e il silenzio assoluto della prima mattinata, “quando è ancora buio”.
Non è una preghiera che domanda cose, come avviene invece nell’immaturità religiosa, dove si pretendono i miracoli, ma l’esperienza, ad alta intensità umana, della presenza di Dio: sentirsi avvolti dall’infinito, così evidente nella consapevolezza scavata dal silenzio. È un infinito di affetto, un sentirsi preso dall’amore di Dio Padre: “come un bambino in braccio a sua madre” (salmo 131). La preghiera è quindi sentirsi in braccio a papà Dio, come insegnava il Maestro. Non c’è bisogno quindi di moltiplicare le parole (Mt 6): il godimento contemplativo ama il silenzio. Il darsi da fare di Gesù deriva quindi dal “lasciarsi fare” dalla relazione d’amore con il Padre.
Questa preghiera cura e guarisce. Accogliere i malati, restituire loro la vita in pienezza, ben più completa e sana di quella che si aveva prima della malattia (“Va, la tua fede, ti ha salvato!” è la conseguenza diretta della preghiera.
Nella preghiera affiora la presa di coscienza di vuoto, mancanza, indigenza della propria vita. Si crea una apporto asimmetrico tra l'essere debole e l'invisibile Presenza onnipotente. Nasce spontanea e sincera la richiesta di essere ascoltati, aiutati, riconosciuti, esauditi. Si crea un tipo di sana dipendenza che evoca i primi mesi dell'attaccamento materno, essenziale, decisivo per la vita. Dio è vissuto come oggetto d’amore degno di fiducia. Altrimenti il suo nome evoca qualcosa di negativo o inutile che va temuto oppure dimenticato. C’è quindi un modo di pregare sereno o angosciato, sano o patologico, adulto o infantile. Gli oggetti interni buoni (M. Klein) permettono o di contrastare gli oggetti esterni cattivi e non farsi travolgere da essi. Dio è percepito emotivamente prima che razionalmente come buono, degno di fiducia, capace di protezione, che non delude. La preghiera in quest’ottica diventa un notevole strumento di attivazione e rafforzamento della pulsione di vita, di neutralizzazione e superamento delle frustrazioni. La fiducia di base e la speranza sono qualità psichiche fondamentali per il proprio benessere futuro: una speranza inconscia, emotiva che investe effettivamente ed efficacemente tutto l’essere psicofisico. Se si è abitati da oggetti negativi, invece, Dio viene inconsciamente vissuto come interlocutore pericoloso e assurdo.
Pregando ripetutamente e con grande intensità emotiva si attiva una relazione, un’alleanza con Dio, “oggetto” buono e onnipotente, attraverso cui è possibile restaurare il contatto con i propri oggetti interni positivi che la malattia tende a offuscare. Così Dio sperimentato nella preghiera matura come bontà assoluta, finisce per contrastare e neutralizzare i disagi del corpo e della psiche. Eros trionfa su Thanatos.
La preghiera matura aiuta a guarire.
Questo tipo di preghiera è vissuto soprattutto nell’assemblea liturgica, educata a pregare bene. Nella liturgia l’immaginario irrompe a scapito della pesantezza quotidiana, il desiderio e il sogno anticipano nel “già” della scena liturgica quello che non c’è “ancora” ma che presto verrà. Anche se tarda, di certo avverrà “(Ab. 3,1).
Nella liturgia, attraverso le parole e i gesti partecipati, accade una mobilitazione generale degli affetti. Non bisogna però coltivare illusioni: l'eliminazione dei sintomi non è ancora la guarigione. Certe emozioni religiose (e certi gruppi di preghiera) curano i sintomi ma non la causa, producono guarigioni provvisorie. Sono piuttosto sintomo di una preoccupante immaturità psichica: si ruota attorno al codice materno, prigionieri di un’illusione di onnipotenza. Posti di fronte alla debolezza e alla precarietà dell'esistenza, tentano di sfuggire al senso del limite cercando maniacalmente soluzioni magiche. Prospera oggi una religione del miracolo a buon mercato, dopo la fine delle illusioni del progresso e della tecnologia, manifestazione di una fragilità malcelata e diffusa. E' l'inflazione della religione della madre, caratterizzata dall'oralità, dalla dipendenza, dalla passività, dalla delega della propria vita agli altri.
La maturità religiosa comporta una sacrificio doloroso e “cruento” (come quello celebrato nell’eucaristia) che produce una triplice mutazioni del desiderio. Si deve passare dal “Sia fatta la mia volontà”, al “Sia fatta la mia volontà con l'aiuto di Dio”, al “Sia fatta la tua volontà”.
Quando Gesù ha compiuto questo passaggio sudava sangue: “In preda all'angoscia, pregava più intensamente; e il suo sudore diventò come gocce di sangue che cadevano a terra” (Lc 22,44).
La vera preghiera crocifigge.