Speranza e ripresa


Per una Pasqua di speranza e di ripresa
È la seconda pasqua che passiamo nella paura dei contagi, nei racconti di dolore delle persone malate e nello strazio per quelli che non ce l’hanno fatta, nella conta quotidiana dei morti. Abbiamo tutti scolpito in mente la scena degli autocarri che trasportano le bare. Non riusciamo ancora a vedere la fine di un incubo. Siamo aggrappati alla speranza dei vaccini. Sappiamo che dobbiamo resistere prendendo tutte le precauzioni, con il massimo del rispetto della vita degli altri e nostra.
In questa Pasqua di resurrezione, ancora chiusi in casa, ci sembra di essere ancora d’inverno, quando il seme muore.
Ma è nel buio del terreno che si prepara la vita.
Pensiamo a come siamo nati. Concepiti da un atto d’amore ma siamo venuti al mondo nel pianto (un travaglio che solo la madre conosce). La gioia indicibile per la nascita di un figlio erompe da un urlo di dolore, da un taglio sul vivo. È la stessa regola della natura, del germoglio che spunta quando il seme marcisce. È la risurrezione che germoglia dalla croce.
Perché la gioia deve passare dal dolore? È una maledizione dell’umano? No: è la condizione della vita. Per crescere bisogna separarsi e ogni separazione è una lacerazione. Dal taglio del cordone ombelicale al distacco della morte, questa è la regola.
Il vangelo è la storia dettagliata del trionfo della vita, che cresce di separazione in separazione. Lo sa bene Maria, la Madre. La spada che deve trafiggerle l’anima – nella profezia di Simeone - è la stessa che il figlio porterà nel mondo: “Se uno viene a me, ma non odia il padre, la madre...” Pensiamo al vissuto di Maria. A Gerusalemme perde Gesù dodicenne. Lo cerca angosciata, ma Gesù rivendica la sua libertà. Lui si deve separare dalla famiglia per seguire la sua strada (quella del Padre). A Cana chiede l’intervento del Figlio ma lui le risponde: Che c’è tra me e te? Come puoi pretendere di conoscere la mia ora? Poi Gesù si perde nella folla; lei vorrebbe almeno vederlo, parlargli un istante. La risposta del figlio pare ingrata: “Chi è mia madre? Ogni discepolo è mia madre”. Maria impara la maternità dal soffrire. È piena di grazia perché sopporta questi strappi. Il Figlio, imparò l'ubbidienza dalle cose che soffrì (Eb 5,8).
Quale dolore la separazione! La gente incontra Gesù ma non lo capisce. “E’ fuori di sé”, pensano alcuni. Sì, Gesù è sempre “fuori”, sempre oltre. Ospite ovunque, mai a casa. Anche sulla croce: “Donna, ecco tuo figlio”. È questa separazione che genera la Chiesa. La madre sa che solo rinunciandovi, resterà sempre con il figlio. Per questo Maria è ai piedi della croce ma non va al mattino presto al sepolcro. È nel cenacolo ma non c’è alcuna apparizione del risorto a sua madre. Non c’era bisogno. La sua fede non aveva dubbi. La tensione prodotta dalla separazione rende il Figlio e la Madre inseparabili, per sempre. Lei, l’assunta in cielo.
Gesù non può essere trattenuto. È questa la risurrezione. Egli risorge sempre da ogni qui: “è risorto, non è qui”. La Maddalena, che tanto lo amava, vorrebbe abbracciarlo, ma il maestro si nega e le risponde: “Non mi trattenere”.
Quanto morire perché la vita nasca! Anche per noi. La legge della crescita di ogni umana bellezza conduce dalla semina nel pianto al raccolto gioioso. Il riso e il pianto sono sempre intrecciati.
Quanto impegno per far crescere un figlio! Quanto dolore perché una parrocchia cresca nell’unità! Quanta passione per fare qualcosa di bello! Quali lacerazioni per diventare una comunità aperta al mondo! Quale lavoro per abbattere le barriere, quale fatica per aprire la mente! Quale lavoro ci attende per ricostruire l’Italia!
Nella sconfinata libertà di Gesù, la vita è sempre oltre. La Pasqua è l’andare “ancora oltre” di tutti noi. Ricostruirci dentro per ripartire fuori. Con una garanzia: alla fine, anche passando per il tormento più angoscioso, quello dei nostri giorni, vincerà la vita.
BUONA PASQUA!

 




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