Servi più-che-necessari


Le opere della fede sono la costruzione della vita e della speranza dove c'è morte e disperazione. Esse mostrano con i fatti che il Dio di Gesù è il Signore della vita: il credente, nel nome di Dio, libera e risana, rimettendo a testa alta chi procede distrutto sotto il peso degli avvenimenti, personali e collettivi; restituisce dignità a coloro a cui è stata sottratta; dà a tutti la libertà di guardare al futuro, in una speranza operosa, verso quei cieli nuovi e nuove terre dove finalmente ogni lacrima sarà asciugata. Questo è il Regno di Dio, la causa grande che ha appassionato la vita di Gesù.
Tra passione per la vita e riconoscimento di Dio c'è un legame molto stretto. Romperlo o svuotarlo ci riporta nel regno triste della morte, dove dominano l’arroganza e la violenza.
Gesù descrive tutto questo, e lo stile di esistenza che ne consegue, con l'invito ad assumere l'atteggiamento del "servo".
Al servo Gesù aggiunge l’aggettivo “inutile”. Perché? Perché Dio non ci considera mai per l’utilità delle nostre azioni. Questa è anche la regola fondamentale dell’umano. Noi valutiamo le cose quotidiane per la loro utilità. Ma ciò che conta davvero nella vita non appartengono al dominio dell’utile e del necessarie. Non si coltiva un amore né desidera un figlio perché sono beni utili. Non è necessario sposarsi e neppure avere un figlio per essere umani. Anche noi potevamo non esserci, ma da quando siamo nati, accolti e amati, siamo diventati il “più-che-necessario” di chi ci ha voluto.
Dio ci ama così.
Ciò che si vede appartiene all’ordine del “necessario”, ma ciò che vedono gli occhi dell’amore costituisce il “più che necessario” della vita.
Sta qui, per esempio, la differenza tra perdere il lavoro e perdere un figlio, drammi non equivalenti. L’angoscia fa avvertire il bisogno di Dio, come necessario (da questa necessità la secolarizzazione è una liberazione). L’amore è l’irruzione della novità, l’imprevedibile della vita. L’ago della bussola dell’amore è attratta dal più-che-necessario. La fede lo chiama Dio, che si dona nell’assoluta libertà.
La pastorale orientata alle tante cose da fare, ripete spesso, a monito di chi intenda aderire alla parrocchia, che “tutti sono utili, ma nessuno è indispensabile!”, “chi non serve, non serve” (chi viene in parrocchia ma non dà contributi, frequenta inutilmente). Considera così le persone in modo funzionale: non sa accogliere le persone, non riconosce la loro vita.
La pastorale missionaria, invece, rovescia la prospettiva: all’incontro con Cristo sono tutti invitati: “Tutti sono indispensabili”. Nessuno è considerato per l’utilità che apporta, nessuno dovrà ostentare una presunta superiorità: “Nessuno è considerato utile”.

 




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