Per un'abbondanza di vita
“Sono venuto perché abbiano la vita e l'abbiano in abbondanza” (Gv 10,10). Non c’è missione più grande e più umana: dare ciò che uno ha per far vivere l’altro. Far vivere è poter dire all’altro: “Sono felice che tu ci sia. Per me è un bene che tu esista. Voglio vivere con te e vorrei che tu vivessi con me, così come sei, senza condizioni”. In una parola immensa e breve «vita» (“voglio che tu viva”) sta tutto l’amore e l’affetto che proviamo e doniamo. In questa volontà tocchiamo le profondità più originarie del vivere umano. Affidandoci all’amore dell’altro siamo liberati dall’angoscia e dalla paura del vivere, non abbiamo più bisogno di cercare il nostro interesse e vantaggio. Confidiamo che sia l’altro a pensarci.
Unica è la vocazione di tutte le creature: avere la vita in pienezza. Unica è la fatica, il travaglio di ogni istante: lottare contro la morte.
Volere la vita, amarla, difenderla ci immerge nella comunione con tutta l’umanità e l’intera creazione.
La parola «vita» è un filo conduttore di tutta la storia biblica. Con essa il serpente seduce Eva: “Non morirete, anzi avrete vita come quella di Dio”. Giona si adira con Dio perché è troppo generoso nel dare la vita e lascia in vita anche chi non la merita. Tutta la legge di Mosè è conseguenza di una scelta previo: «Hai davanti a te la vita e la morte. Decidi!» Il primo, il principale di tutti i comandamenti dice: “Scegli la vita!”. Ogni supplica, preghiera, desiderio è raccolto nei Salmi come anelito di vita: “Fa' che io viva! Salva la mia vita! Fammi camminare per strade di vita!”
Gesù ha eliminato ogni limite al dominio della vita: “Ama il tuo prossimo come te stesso” (Quello che dà vita a te, cercalo per tutti). “Ama il tuo nemico” (Se vive, anche il nemico potrà ravvedersi). «Il Regno verrà con il fiorire della vita in tutte le sue forme» (G. Vannucci).
Vita è tutto ciò che possiamo desiderare. Vita è respiro, forza, salute, amore, relazioni, gioia, libertà. È parola che tracima di ogni significato, che cambia il desiderio e le mete, che deborda da ogni limite e tristezza.
La storia del mondo è un pellegrinaggio verso la vita. L’Evangelo è inconciliabile con il “vivacchiare” perché è vita esuberante, magnifica, eccessiva. Centuplo di ogni cosa bella. Eccedenza, vitalità, “spreco”: manna per quarant'anni nel deserto, pane per cinquemila, anfore riempite fino all'orlo, acqua trasformata nel vino migliore, pelle di bambino per il lebbroso, vaso di nardo prezioso e casa riempita di profumo, pietra rotolata via. Prodigalità di vita che neppure la morte non potrà definitivamente annullare, secondo le metafore del Vangelo di oggi. Gesù la descrive come una porta che si apre sulla terra dell'amore leale, più forte della morte (“se uno entra attraverso di me, sarà salvo”); più forte di tutte le prigioni (“potrà entrare e uscire”), dove si placa tutta la fame e la sete della storia (“troverà pascolo”). Gesù Cristo è e da' la vita, ma la vita in abbondanza. Definitiva, eterna.
Un grande nome della psicologia dello sviluppo, Daniel Stern, nel suo ultimo lavoro Forms of Vitality ha proposto di considerare la forma con cui l’azione viene compiuta e che intravede nella tonalità di vita (“vitality”). Da questa si può capire il rapporto che la persona instaura con gli altri. Prendendo come riferimento i meccanismi neurologici dell’intersoggettività, i neuroni specchio, oggi possiamo comprendere come la mente umana sia costituzionalmente aperta alle altre menti (“Seeing others as having embodied minds like me and with me” p. 137). Questo significa essere umanamente vivi: immergersi nell’esperienza degli altri. Stiamo scoprendo, infatti, le vie neurologiche attraverso le quali la mente legge l’intenzione degli altri. Il bambino capisce che cosa l’altro prova, osservando i suoi gesti, prima ancora che ascoltando le sue parole. È interessante notare come autori di discipline diverse e in tempi diversi come J. Lacan per la spiegazione dell’evoluzione dell’Io, C. Olievenstein per la cura delle tossicomanie, V. S. Ramachandran nel suo lavoro nei campi delle neuroscienze del comportamento, siano tutti ricorsi alla metafora dello “specchio infranto” come ipotesi per la diagnosi del deficit dello sviluppo (“Deficit of vitality”). Esiste quindi una condizione trasversale a tipologie diverse di dolore mentale: un difetto dell’empatia che unifica autismo, narcisismo e condizione borderline. L’autismo è una malattia neurologica da abilitare, il narcisismo un’immaturità psicologica da rieducare, il disturbo borderline di personalità una condizione psichiatrica da curare. Tirocinio abilitativo, intervento clinico, pratica educativa, per vie diverse, perseguono l’unico obiettivo della qualità umana delle forme di vita (vitalità): l’empatia, l’affezione, l’assunzione etica del piacere di vivere, che diventa capacità di realizzazioni creative.
I luoghi di accoglienza e di cura del dolore mentale possono così diventare laboratori sociali, avamposti della ricerca di nuovi percorsi di civiltà e di salute collettiva, fondati sull’abbondanza di vita.
L’agricoltura sociale ha un ruolo particolare in questo nuovo laboratorio della salute. La fecondità e la coltivazione della terra sono evidenti costellazioni maternali, possibili forme per rappresentare l’esperienza affettiva, per dare a essa un senso orientato, l’effetto di una vitalità, di una rigenerazione e di una trasformazione sempre possibili.