Tanti e peccatori
Nei romanzi o nelle fiction, quando entra in scena per la prima volta il protagonista, l’evento avviene in una cornice di grandiosità e suspense che enfatizza il rilievo del personaggio per annunciarne tutto il valore.
La prima scena in cui appare Gesù, invece, non è un evento di esteriorità ma un rito di umiliazione: Gesù in fila con chi chiede al Battista l’immersione della penitenza.
Da Betlemme al Calvario, dalla bottega di Nazareth alla quotidianità delle strade della Palestina, Gesù è sempre stato la rivelazione di un Dio che ama nascondendosi.
l racconto dei Vangeli sinottici si apre con un invito, costituito dalla prime parole che Gesù pronuncia, che ha l’essenzialità della formula catechistica: “Convertiti e credi al Vangelo” (Mc. 1,15; Mt. 4,17). La chiamata della fede comporta fin dall’inizio, nello stesso tempo, il dono e la scelta. Per volgersi al Vangelo è però necessario abbandonare le strade false, per orientarsi al Signore è indispensabile respingere gli idoli e vincere la tentazione della fuga nell’alienazione: la vita ridotta a pura materialità o la patologia del sacro.
La comunità non è il luogo dei “pochi ma buoni” ma dei “tanti e peccatori”. L’immagine del cristianesimo più coerente con la condizione di oggi non è forse quella dell’accoglienza e della misericordia? La condizione per giungere alla pienezza della vita cristiana non è quella di nascondere il peccato o di sminuirne il dramma ma, al contrario, di definirsi realmente e pubblicamente peccatori e peccatrici, come condizione indispensabile per lasciarsi trasformare dall’amore.
Il popolo di Dio non può vivere, quindi, senza lasciarsi riconciliare di continuo dal Signore.
La pesantezza dell’esistenza ferita, la fragilità della vita, non si risolve, infatti, solo nell'impegno morale, ma ha bisogno di un radicale cambiamento, di una "sostituzione" del cuore, operata dal Signore. Occorre morire secondo la carne per risorgere secondo lo Spirito, come avviene nel battesimo cristiano che è molto di più di un bagno di penitenza ma è l’immersione nelle morte e risurrezione di Cristo: la gloria attraverso l’umiliazione.
L'intimo travaglio del cambiamento e della conversione non è altra cosa del "sacrificio" che si è consumato sul Golgota, che misteriosamente è stato assunto nel battesimo e che si realizza nella lotta quotidiana del vivere da redenti. La vita cristiana è crescita costante verso orizzonti mai pienamente raggiunti, nel cammino provvisorio della terra. Per questo Gesù pone a modello del credente il bambino ("Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno" Mt. 18,3) perché il bambino sa che deve crescere e lo desidera. La sua indomita curiosità lo spinge al nuovo: vuole essere quello che ancora non è. Il bambino è però anche immagine dell’immaturo capriccioso che non sa decidersi e che continuamente si contraddice (“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato” Lc. 7,32).
Nell’Eucaristia la Chiesa si dispone a farsi umile e serva. In questo modo si immerge totalmente nell’umanità e soffre con essa in ogni debolezza.
Il Cristo si trova negli umili, nei poveri, nei peccatori. Va cercato nella folla dei reietti, dei falliti, nei luoghi contaminati dal fallimento e dalla vergogna: per questo si trova anche in tutti noi.