Apriti!


Condussero da Gesù un sordomuto, pregandolo di guarirlo. Il Maestro lo accolse, lo portò in disparte, lontano dalla folla. Gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua. Poi, “guardando verso il cielo, emise un sospiro e disse: «Effatà» cioè: «Apriti!» E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente” (Mc. 7,34-35). Nella parabola gestuale di questa guarigione, la Chiesa ha visto come una rappresentazione di ciò che avviene nell’iniziazione cristiana. Il comando di Gesù "Effatà" è stato assunto, tale quale, in aramaico, nell’antica liturgia del battesimo. Liberato dalla sordità dell’anima, il battezzato può aprirsi alla parola di Dio, proclamare la fede e lodare Dio. La reazione della folla è d’indicibile stupore: dove il Signore passa, la vita rifiorisce. La sua parola vince ogni resistenza e opera sempre ciò che dice: «Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti» (Mc. 7,37).
Il sordomuto è una persona muta, perché sorda. Se non si avvertono i suoni, non si può imparare a parlare. Quale metafora più precisa del primato della Grazia, nel percorso della fede? “Così la fede viene da ciò che si ascolta, e ciò che si ascolta viene dalla parola di Cristo” (Rom. 10,17).
La descrizione del cammino di fede come apertura alla Grazia è il tema di una delle pagine più alte della sensibilità religiosa di Simone Weil .
L'incontro con Dio si prepara e si compie in un doppio movimento, ascendente e discendente. Il percorso religioso esige un lungo periodo preparatorio, caratterizzato dallo "sguardo rivolto con un certo sforzo verso l'alto”. Tutto parte da una domanda, da una ricerca, come avvenne per i familiari del sordomuto. L'anima (nel linguaggio di S. Weil) si sente abitata da qualcosa che la supera e la spinge verso un "altrove" che non conosce ancora in modo chiaro: "L'anima ama a vuoto, non sa se al suo amore risponde qualcosa di reale".
Questa tensione ha la stessa dinamica della fame, la quale si presenta come un bisogno che non può essere negato: "L'anima sa con certezza soltanto che ha fame. L'importante è che gridi questa sua fame".
La "fame" non garantisce la certezza del cibo, ma solo del bisogno. Il dubbio è parte integrante della ricerca di fede, così come l'incertezza è un vissuto emozionale frequente, nell’attesa di Dio. Il sospiro di Gesù sembra ricordare il rischio e la fatica della fede, desiderio intenso di ciò che non si vede, percezione di una mancanza che fa stare male.
I genitori, che hanno presentato il bambino per il battesimo, hanno avvertito questa “fame”. Nulla oggi, infatti, costringe all’appartenenza religiosa. La fede presuppone una domanda. La fede, come attesa di ciò che ci “manca”, va vissuta secondo l’atteggiamento del bambino, il quale, anche quando non sa se da qualche parte il pane ci sia davvero, continua, senza rassegnazione, a gridare la sua fame (i genitori conoscono bene la potenza di questo grido).
Non considerare Dio come l’unica vera ricchezza, invece, e “distoglierne lo sguardo è un delitto di tradimento", perché misconoscimento cosciente della realtà.
Restare in attesa, non cessare di stare in ascolto, senza a volte sapere neppure di che cosa, caratterizza l’accettazione piena, senza alienazioni, della condizione umana. Questo atteggiamento “ascendente” prepara, al tempo stesso, un incontro che, però, non è dato alla persona stabilire. Esso appartiene esclusivamente al dominio della Grazia. "Non dipende dall'anima credere nella realtà di Dio, se Dio stesso non le rivela questa realtà".
Nel movimento “discendente” della fede, Dio solo è il protagonista: "altrimenti la 'credenza' in Dio resterebbe astratta e verbale" oppure si presenterebbe sotto un'etichetta idolatra, scambiando come divina un’esperienza psicologica.
Quando "Dio viene di persona, non solo a visitare l'anima (…) ma ad impadronirsi di essa e a trasportarne il centro presso di sé, le cose cambiano".
Inizialmente Dio può essere identificato come valore, ideale, fondamento, senso della vita, speranza. La fede però trasforma quell’attesa in un incontro personale. Quello che importa è mantenere viva l'attenzione e non nascondere l'intensità delle domande sotto il velo dell’indifferenza e della negazione. L'attenzione aiuta a cogliere ciò che è contenuto nel presente, eppure lo sorpassa; accompagna a scorgere, anche nelle più piccole esperienze quotidiane, la grandezza e il mistero. Impedisce di accontentarsi delle chiacchiere, delle consuetudini e delle fantasticherie.
Occorre a lungo "sostare e attendere", con un'applicazione estrema e un lungo apprendistato (il tempo della mistagogia, le tappe celebrative e gli altri sacramenti dell’iniziazione cristiana). Il desiderio di ciò che ci manca prefigura quella pienezza di cui il presente contiene le tracce. La ricerca religiosa prende consistenza quando la vita fa emergere le sue attese più essenziali, quando le persone si liberano dalla superficialità, quando non si compiacciono del vuoto, rinunciano a riempirlo di surrogati.
Nella celebrazione del battesimo, il celebrante tocca, con il pollice, le orecchie e la bocca del battezzato e gli augura di ascoltare presto la Parola del Signore e di professare la fede. Il rito dell’«Effatà» è compiuto però anche nel battesimo degli adulti, che già sanno ascoltare e parlare, per affermare chiaramente il primato della Grazia, che previene anche l’impegno umano. Il primato del dono sembra confermato anche dall’esperienza clinica: chi non è stato amato sufficientemente, nei suoi legami primari, diventa insensibile all’amore, preferisce il vuoto affettivo al calore della relazione. Il battesimo annuncia però un amore che viene da altrove, introduce una sicurezza che sfida ogni abbandono e deprivazione: “Mio padre e mia madre mi hanno abbandonato, ma il Signore mi ha raccolto” (Salmo 26,10). Certi dell’amore di Dio, raccontato dalla vita di Gesù, si può amare per primi, gratuitamente e senza calcolo. Si possono amare perfino i nemici!

 




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