Liberi e felici
E ordinò loro che, oltre al bastone, non prendessero nulla per il viaggio: né pane, né bisaccia, né denaro nella borsa; ma, calzàti solo i sandali, non indossassero due tuniche…
Di fronte a un’impresa difficile (predicare la conversione) Gesù propone la strada opposta di quella che d’istinto prendiamo noi. Lui chiede di puntare sul fine e non preoccuparci dei mezzi. Noi ci preoccupiamo dei mezzi e trascuriamo il fine.
Gesù non solo chiede la povertà ma la viveva in prima persona. Non aveva una pietra su cui posare il capo, con gli apostoli viveva del lavoro (e avevano una cassa comune), non accumulava beni Lc. 9,57. La povertà scelta diventava in lui ricchezza di umanità, gioiosa pienezza di ciò che rende umani. L’annuncio delle beatitudini, forme diverse della virtù della povertà, è il cuore dell'Evangelo. Il Figlio dell'uomo si è incarnato nella figura del povero che ha fame e sete, che è mite, giusto e pacifico. Ha compendiato il senso conclusivo della storia del mondo nella misura dell'amore verso il povero. "Beati i poveri" è diventato l’annuncio paradossale più impegnativo del cristianesimo. Le beatitudini non sono formule di comportamento. Sono dono di felicità, sperimentata nel ritorno all’umano senza aggettivi, come s’incontra nel povero. Nel racconto del giudizio di Dio (Mt 25,31-46), il Figlio dell'uomo guarda come amabile ciò che agli occhi degli uomini è senza nobiltà e valore. I poveri sono fratelli del Signore per la loro piccolezza, data dal fatto che lui si è fatto il più vulnerabile tra gli uomini.
Come annunciare oggi la beatitudine della povertà? Con quali linguaggi? Mediante quali proposte?
Il legame inscindibile tra Gesù e poveri diventa quello tra i cristiani e i poveri che sono i primi “vicari” (rappresentanti) di Cristo. La salvezza si realizza attraverso l’incontro con i poveri. Ritornare a Cristo è ripartire dall’amore per i poveri.
La forza del vangelo prende evidenza nella vulnerabilità della chiesa e dei cristiani. Gli inviati di Gesù devono essere poveri nei loro mezzi, nel loro messaggio, nella loro difesa. Così la comunità diventa “chiesa dei poveri e per i poveri”.
Nelle primitive comunità cristiane nessuno era bisognoso. Questa condizione era ritenuta essenziale per indicare che la beatitudine non consiste nel possesso ma nell’amicizia con Gesù e nella solidarietà. La povertà della chiesa testimonia il suo abbandono totale a Cristo, più potente di tutti i mezzi umani.
La scelta evangelica per i poveri oggi è particolarmente importante. Nella società secolarizzata, le enunciazioni di fede possono essere intese solo se proposte d’amore, manifestazioni di misericordia, continuazione dell’opera di Cristo verso gli emarginati e i malati, risposte alle attese insoddisfatte di oggi.
La beatitudine della povertà (che Francesco di Assisi chiamava "Signora") può diventare il cammino di vita di chi, nella scelta dell'essenziale, nella rinuncia di ciò che è ingiusto o vano, si avvia a una nuova esperienza dell'avere e dell'essere. Può aprirsi una svolta paradossale: la povertà si trasforma in ricchezza e gioiosa pienezza di tutto ciò che è umano e vitale.
Poveri in spirito, poveri con spirito (L. Boff) sono quelli che assumono la loro povertà reale in tutta la sua immensa potenzialità umana, alla luce della prospettiva del Regno che è l’interiorizzazione e la realizzazione dei costumi di Dio.
La povertà che Gesù richiede agli apostoli è la garanzia della loro libertà. Una delle poche leggi ferree della storia è che i lussi tendono a diventare necessità e a produrre nuovi obblighi. Una volta che ci si abitua a certe comodità le si dà per scontate. Si comincia facendovi affidamento e si arriva a non poterne fare a meno. Durante gli ultimi decenni ci siamo inventati innumerevoli prodotti per risparmia tempo e fatica ma non facciamo una vita più rilassata. Siamo invece meno sereni, meno pacifici. La ricerca della nostra libertà si è rivelata una trappola.
Vera libertà è solo la beatitudine evangelica della povertà.