Sorella morte


Il vangelo di questa domenica ci insegna a guardare coraggiosamente e serenamente in faccia la morte. Dalla morte, infatti, s’impara a vivere.
In realtà noi non possiamo sapere che cosa sia la nostra morte: quando essa verrà noi non ci saremo più. Noi conosciamo la morte dalla morte di coloro che amiamo. Conosciamo la nostra morte dall’esperienza che più ce la ricorda e la anticipa: la sofferenza, il dolore, la malattia.
Dolore e sofferenza sono il modo quotidiano di pre-sentire la morte.
Se saggezza è guardare la morte, noi non abitiamo una cultura saggia. Oggi morte e dolore sono veri tabù. Il dolore non è più sentito come una realtà naturale, è vissuto come assurdità, come pura maledizione. La sofferenza diventa così tanto più insopportabile e inutile, quanto meno si riesce a darne un significato, a trovare un senso.
Noi che sogniamo di dominare il mondo e di essere padroni di noi stessi, troviamo nella morte lo scacco della sconfitta, il fallimento totale. Essendo divenuti incapaci di parlare della morte, morire e soffrire sono sempre meno delle realtà partecipate. Diventano esperienze di solitudine anche drammatica.
Si muore negli ospedali, lontani da casa. Il cadavere viene subito portato via, occultato; la scena della morte non deve avvenire sotto gli occhi dei bambini. Non devono sapere. Anche la malattia può diventare una vergogna: non se ne deve parlare. Si cambia il tono di voce quando il discorso finisce lì. Oppure si cerca di rendere insignificante la morte, trasformandola in spettacolo: resa una finzione, la si allontana.
Ma il rifiuto della morte si rovescia nel suo opposto: diventa un’ossessione. Così il dolore si tramuta in una domanda esagerata di farmaci, di servizi medici, di cure professionalizzate: segno più che evidente della nostra incapacità personale e collettiva di fare fronte al dolore, alla sofferenza del vivere. Si richiedono analgesici o terapie anziché preoccuparsi, impegnarsi e battersi per un altro modo di vivere, per una diversa concezione del lavoro, per una diversa alimentazione, per una diversa convivenza civile; per un rispetto dell’ambiente, per la vita in generale.
Si attiva un circolo vizioso e assurdo: invece di affrontare la verità di ciò che noi siamo, ci si difende dall’angoscia cercando di dimenticare, vivendo nella superficialità, nell’effimero…
Diversa la prospettiva del Vangelo: Gesù insegnava a guardare la morte quando ancora si è nel vigore della vita, quando si sta bene, a procurarci l’olio delle lampade perché non ci venga a mancare nel giorno della prova, del dolore, della morte.
Imparare a morire è imparare a vivere.
Nella morte c’è il segreto della vita
La morte insegna a distaccarci dalle cose, dal denaro, dalle preoccupazioni eccessive, dalle idee; e anche dal possesso delle persone. Nel giorno della nostra morte non porteremo nulla con noi! E più le nostre mani si abitueranno a dare, piuttosto che a prendere, a offrire, piuttosto che ad aggrapparsi, più quel giorno riusciremo a distaccarci serenamente.
Un’ altra esperienza che ci abitua al distacco, è l’amicizia, che è dono gratuito, disinteressato, o libero e anche liberante. L’avaro e il faccendiere non hanno amici. La liturgia delle esequie ricorda che le nostre amicizie non verranno spazzate via dalla morte, ma che, “potremo ancora godere dell’amicizia dei nostri cari e della loro compagnia”.
C’è ancora un altro modo per esercitarci ad imparare la saggezza dalla morte ed è la cura e l’attenzione che possiamo riservare agli ammalati, ai sofferenti, a chi giunge al termine della vita in modo che nessuno arrivi mai a vergognarsi del suo male, della sua disgrazia, della sua condizione.
Anche le nostre liturgie, la celebrazione della morte dei nostri cari, il loro ricordo nell’Eucaristia sono passi per la saggezza che viene dalla morte. «Confortatevi a vicenda con queste parole ». Le parole della fede assicurano che la morte, che a noi appare un muro impenetrabile e oscuro, nasconde in realtà un’aurora, che vediamo solo in pallidi riflessi ma c’insegna ad accettare la nostra condizione e a chiamarla: « sorella nostra morte corporale ».

 




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