La tenerezza dei popoli
“Non diciamo con ragione noi che sei un samaritano e hai un demonio?” (Gv 8,48).
Così i Giudei risposero un giorno a Gesù, nella loro violenta polemica. Per loro i samaritani era no solo degli eretici, razzialmente ibridi e con un culto impuro, considerati fuori della comunione con il popolo ebraico. Tra samaritani e giudei l’odio e il disprezzo erano radicali. Gesù rovescia questa tradizione, ogni volta che ne attraversa il territorio, si ferma a parlare. Avvengono anche incontri straordinari, come con la donna samaritana. Provocatoriamente Gesù spesso presenta i Samaritani come modello del credente: nella parabola su chi sia il nostro prossimo, mentre il sacerdote e il levita, a causa dei loro pregiudizi religiosi, non si fermano a soccorrere il malcapitato mezzo morto per la strada, è solo un samaritano che è posto come modello di amore (Lc 10,30-37). Gesù stesso fu accusato di essere un samaritano, un eretico
La parabola della guarigione miracolosa dei dieci lebbrosi, in cui uno solo torna a ringraziare Gesù, contiene quindi molto di più dell’invito a essere riconoscenti al Signore. È vero che la nostra preghiera è viva spesso solo nei momenti di bisogno e molto meno capace di “render gloria a Dio”. Gesù evidenzia che è un Samaritano, e non gli altri nove ebrei, che si manifesta come uomo di fede. È contenuto in questo racconto anche l’annuncio di una salvezza che ormai non è più esclusiva del popolo ebraico, ma che è donata al mondo intero. Il vero contenuto del racconto è però da cercare diversamente, tenendo ben presente il contesto della pagina: sono gli esclusi, gli scomunicati, quelli non considerati i più vicini al cuore di Dio, i destinatari del Regno. Ancora una volta è proclamato che ”i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio” (Mt 21,31).
Spesso sono i poveri, gli ultimi, i lontani da una religione tradizionale che sanno cogliere la novità e la freschezza del Vangelo: “Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio” (Lc 6,20). Siamo nel mese missionario: il nostro pensiero è richiamato in queste domeniche al dono delle diversità delle culture, alla grazia della tenerezza dei popoli. Culture poco considerate o anche disprezzate, sono invece portatrici di valori che stiamo dimenticando. L'Africa ci insegna l'amore per la natura, la vita, gli antenati, il senso della festa. L'Asia e l'Oceania la ricerca dell'assoluto di Dio, della pace interiore, dell'armonia, la gratuità. L'America Latina l'attenzione agli ultimi, la lotta per la giustizia, il senso della vita comunitaria e della condivisione. Tanti poveri che vivono accanto a noi, senza essere riconosciuti, possono diventare nostri maestri di semplicità, di essenzialità, di solidarietà. Dio sta dove nessuno penserebbe di trovarlo: nella passione verso i dimenticati e i non considerati e con loro costruisce il Regno. Il vangelo ogni domenica perturba le nostre pratiche ricordandoci ogni volta le parole del cantico di Maria, perché Dio “disperde i superbi nei pensieri del loro cuore, rovescia i potenti dai troni e innalza gli umili, ricolma di beni gli affamati e rimanda i ricchi a mani vuote” (Lc 1,51-53). Ogni volta è il Signore a ricordarci che “gli ultimi saranno i primi, e i primi ultimi" (Mt 20,16).
Il messaggio di questa domenica s’incontra con le parole di papa Francesco al sinodo per l’ Amazzonia. Ogni popolo ha un’identità propria – ci ricorda - una coscienza di sé da cui viene un sentire, un modo di vedere la verità, una storia. Per comprendere bisogna imparare ad ammirare. Presentarci in punta di piedi: “dobbiamo accostarci ai popoli amazzonici, rispettando loro storia, la loro cultura”.
Per parlare con coraggio, con parresia è necessario “pregare, riflettere, dialogare, ascoltare con umiltà”. Per essere capaci di discernere “serve la contemplazione dei popoli, la capacità di ammirazione dei popoli»