Felici di essere poveri
“È più facile che un cammello passi per la cruna di un ago, che un ricco entri nel regno di Dio”. Alla illusione, triste e distruttiva dell’umano, del vivere per arricchirsi, Gesù contrappone la condivisione radicale: “va’, vendi quello che hai e dello ai poveri e guadagnerai un tesoro”. C’è, infatti una povertà che è pienezza di vita, cioè felicità.
La beatitudine dei poveri nello spirito è la prima del discorso della montagna (Mt 5). È quella che, in qualche modo, riassume le altre. Essa porta al nucleo dell’esperienza religiosa cristiana perché è la strada percorsa da Dio, nella rivelazione biblica. Indica che Dio è entrato nella storia attraverso lo svuotamento di se stesso, quando prese la “forma di servo” (Fil 2,7).
Nella visione cristiana di Dio la forma (la debolezza mortale dell’uomo Gesù) è il contenuto (l’Incarnazione).
L’amore, che è la realtà stessa di Dio, si rivela nella povertà dell’incarnazione. Legare amore e poveri è cogliere la dimensione centrale del cristianesimo, che è la religione di Dio fatto uomo per amore. Esiste quindi un legame inscindibile tra Dio e i poveri come appare evidente nella missione di Gesù: “I ciechi ricuperano la vista e gli zoppi camminano; i lebbrosi sono purificati e i sordi odono; i morti risuscitano e il vangelo è annunciato ai poveri” (Mt 11,5).
Non si può quindi capire il vangelo senza considerare la povertà reale, la vulnerabilità delle persone. La fede prende inizio nell’incontro con i poveri, com’è avvenuto significativamente nella storia di S. Francesco d’Assisi che si decide verso Cristo dopo l’incontro con il lebbroso. Gesù era sempre attorniato da poveri e malati. Li chiamava beati, li promuoveva, faceva loro spazio.
Il vangelo rovescia la considerazione di vergogna dei poveri, come nella parabola di Lazzaro: “Ora qui egli è consolato, e tu sei tormentato” (Lc 16,25). La scelta dei poveri nell’opera di Gesù si radica in tutta la storia biblica e svela la predilezione di Dio per i deboli, gli orfani, le vedove. Nel racconto del giudizio di Dio (Mt 25,31-46), il Figlio dell'uomo guarda come amabile ciò che agli occhi degli uomini è senza nobiltà e valore. I poveri sono fratelli del Signore per la loro piccolezza, data dal fatto che lui si è fatto il più vulnerabile tra gli uomini.
Il legame inscindibile tra Gesù e poveri diventa quello tra i cristiani e i poveri che sono i primi “vicari” di Cristo. La salvezza si realizza attraverso l’incontro con i poveri. Ritornare a Cristo è ripartire dall’amore per i poveri.
La forza del vangelo prende evidenza nella vulnerabilità della chiesa e dei cristiani. Gli inviati di Gesù devono essere poveri nei loro mezzi, nel loro messaggio, nella loro difesa. Così la comunità diventa “chiesa dei poveri e per i poveri”.
Nelle primitive comunità cristiane nessuno era bisognoso. Questa condizione era ritenuta essenziale per indicare che la beatitudine non consiste nel possesso ma nell’amicizia con Gesù e nella solidarietà. La povertà della chiesa testimonia il suo abbandono totale a Cristo, più potente di tutti i mezzi umani.
La scelta evangelica per i poveri oggi è particolarmente importante. Nella società secolarizzata, le enunciazioni di fede possono essere intese solo se proposte d’amore, manifestazioni di misericordia, continuazione dell’opera di Cristo verso gli emarginati e i malati, risposte alle attese insoddisfatte di oggi. La fede, che non è vissuta come servizio di umanizzazione, è considerata priva d’interesse e anche ipocrita.
Parlare di Dio, confessarlo, lodarlo cambia veramente le cose e i primi ad accorgersene sono i poveri. L’incontro con Gesù diventa opera di libertà e movimento di umanizzazione. Nell’incontro con il povero, dove contano le persone e non i loro aggettivi, scaturisce la rivelazione del mistero dell’esistenza umana ed emergono le grandi domande della vita: “Chi Sono? Da Dove Vengo? Dove Vado?”.
Noi diamo significati alle esperienze quando le trasformiamo in racconto. La narrazione oggi dominante è quella dell’economia di mercato e della sua pubblicità, dove sono le cose a produrre felicità e l’essere è stabilito dall’avere. La beatitudine dei poveri introduce un’altra narrazione, lascia immaginare modelli di vita diversi. Il primato del mercato ha le sue liturgie e i suoi templi secolari. La chiesa che sceglie i poveri, impasta di essi il suo culto e il suo riconoscimento.
Non basta però parlare dei poveri. Insufficiente e imprudente è, ancor più, parlare a nome dei poveri. Il vangelo ci insegna a parlare da poveri. La beatitudine della povertà testimoniala pienezza dell’umano, l’uomo senza aggettivi. Celebra l’amore appassionato per il valore e la bellezza di tutte le cose, coscienza piena della loro preziosità ed essenzialità.
Questa povertà è vera ricchezza e godimento: avere “già al presente cento volte tanto in case e fratelli e sorelle e madri e figli e campi... "
La corruzione della virtù della povertà, invece, è la vera causa della miseria.