"Che cosa cercate?"
Nel Vangelo di Giovanni la prima voce di Gesù è una domanda “Che cercate?”. La risposta apre un cammino dietro a Lui (“venite”), per fare della fede un’esperienza reale (“vedete”).
Per chi entra in parrocchia, dovrebbe poter risuonare, ancora e sempre, il medesimo interrogativo: “Che cercate?”.
La civiltà tecnologica sembra, in realtà, aver smesso di farsi domande. Da un lato essa è insoddisfatta e inquieta, dall’altra appare chiusa e imperturbabile: gli individui sembrano intenti esclusivamente a badare a sé. All’indifferenza a volte si affianca l’ostilità verso il pensiero e le istituzioni religiose.
Dio tace e la scienza l’ha reso ancor più distante, altro. Si era sempre pensato Dio come causa e fine del mondo. La scienza ha rinunciato all'idea di un fine assoluto e la tecnica ha relativizzato il concetto di causa, ponendo obiettivi limitati, circoscritti, materiali. L’universo è sempre più descritto e vissuto, come non avesse né origine né direzioni. Le persone sembrano non avere più un linguaggio per dire Dio. Eppure, proprio questa disarmante constatazione stabilisce le disposizioni, in un certo senso più idonee nei confronti dell’annuncio del Dio cristiano, il quale esige il linguaggio della gratuità, della grazia, e si diffonde con la dinamica dell’incontro e del dono, più che con quello del convincimento e del proselitismo.
L’esito nichilista non è però l’unico sbocco possibile.
I significati più immediati del vivere quotidiano, come l’amore, l’amicizia, la fraternità, e anche la malattia, la morte, il male e il peccato, continuano a interrogare individui e famiglie.
Più che una cultura senza valori, la società complessa è caratterizzata, a causa del suo pluralismo, dall’offerta a profusione di esperienze, di modelli inconciliabili e di proposte divergenti. Le persone sono “costrette” a riflettere e a scegliere tra possibilità sempre plurali: devono, ancor più di prima, darsi un criterio e un senso.
Dio continua a interpellare perché la sua trascendenza può solo essere rimossa ma non negata. Richiedere i Sacramenti dell’iniziazione cristiana per i figli è un’alternativa all’esito nichilista della società di oggi. La domanda di senso, anche condizionata dalla riduzione della fede al vissuto emozionale, può incontrare la proposta cristiana.
Il cristiano può vivere la fede immergendosi nella storia, attraversando le sue contraddizioni. La storia, infatti, resta l’ambito del manifestarsi dell’azione di Dio.
Le comunità possono diventare comunità attraenti, accoglienti ed educanti. La fede cristiana può diventare un punto di riferimento della ricerca religiosa nella società postmoderna entrando nei processi culturali e simbolici della vita della gente e ricuperando coraggiosamente lo strappo che si è consumato nelle rappresentazioni fondamentali del cristianesimo di oggi.. La fede cristiana, infatti, si riferisce a una verità che, prima di essere proclamata mediante l’evangelo, è già in qualche modo annunciata dalle forme immediate del vivere. Essa attinge a tutte le esperienze della vita e trova nell’amore famigliare il punto di riferimento essenziale. Le parole più essenziali del linguaggio cristiano, come grazia, sacrificio, salvezza, comunione, termini e concetti che la mentalità materiale e secolarizzata svuota del loro significato, trovano, nella riconsiderazione di fede delle condizioni reali e quotidiane della vita quotidiana e particolarmente nelle vicende affettive (non quindi nella loro descrizione ideale), il fertile terreno per la loro riscoperta e gli spunti concreti per la celebrazione della fede.
L’approccio alla fede, che riconosce la domanda religiosa all'interno della dimensione quotidiana del vivere, è raccomandato, per esempio, da P. L. Berger come un metodo che offre una possibilità per sfuggire alla vertigine del relativismo ed è quindi particolarmente interessante nell'ottica del primo annuncio e della catechesi.
"Ho creduto a lungo che i segni che possiamo trovare nella vita normale di tutti i giorni siano di importanza decisiva: l'esigenza ricorrente degli esseri umani di trovare un ordine dotato di significato nel mondo, dagli edifici che ci sovrastano come una volta, costruiti da grandi menti, alle parole rassicuranti di una madre al suo bambino spaventato; le esperienze redentrici del gioco e del comico; la inestirpabile capacità di sperare; la convinzione radicata che certi azioni disumane meritino una condanna senza riserve, e la convinzione contraria della bontà assoluta di certi atti di umanità; l'esperienza talvolta conturbante della bellezza, nella natura o nelle opere dell'uomo; e molti altri che potremmo facilmente elencare. Ognuno di questi segni, benché in alcuni casi comunissimi e quasi mai percepiti come soprannaturali, sono indizio di una realtà situata al di là dell'ordinario; l'ordine che la mia mente impone al mondo designa un ordine che esisteva prima che la mia mente cominciasse a influire su di esso" .
Nella realtà quotidiana, anche nei tempi normali o addirittura banali, succedono momenti in cui la realtà, che appariva scontata, si schiude inaspettatamente e qualcosa di "totalmente altro" appare in trasparenza . Secondo una suggestiva metafora, anche nel grigiore e nella distrazione della scena ordinaria della quotidianità, l'orecchio attento può cogliere qualcosa che assomiglia al "brusio degli angeli":
"la fede cristiana asserisce che Dio gioca a nascondino con l'umanità, ma anche che fornisce alcune indicazioni del luogo in cui si nasconde" .
"Il coraggio congiunto alla speranza di creare qualcosa per gli uomini, di operare la giustizia, di manifestare la compassione per gli altri, chi rischia la vita per difendere e salvare, chi a dispetto di ogni contrarietà cerca di portare a termine la sua creazione, chi sacrifica i suoi interessi e i suoi agi per salvare altri colpiti dalla sventura… Siamo di fronte a fenomeni della condizione umana perfettamente constatatili in cui par di cogliere come tratto costitutivo una svalutazione, per non dire un rifiuto, di quella realtà che è la morte".
Il rifiuto della morte come esclusivo esito dell’esistere (non nel senso della sua rimozione ma dell’implicita dichiarazione della irriducibilità della esperienza umana alla mortalità), le esperienze improvvise e solitarie dello stupore ("un tramonto indimenticabile o un sorriso liberatorio, un momento passato in chiesa molto tempo fa o un passo letto una volta da qualche parte"), la speranza o il sogno quando coinvolgono la persona nella sua totalità, lo stesso umorismo (in quanto comporta una sproporzione, un'incongruità, tra l'esperienza concreta e la dimensione che la sovrasta), sono segni della trascendenza, sollecitazioni ad un'interpretazione religiosa della condizione umana.
All'opposto, quando la realtà comune appare del tutto svuotata delle indicazioni che la sorpassano, diventa ancora più difficile comprendere la realtà misteriosa della propria identità. La “fede induttiva” è definita più dall’attesa che dalla gioia di una presenza piena, senza ambiguità. I suoi “sensi” e la sua bellezza sono fragili, come il desiderio e la preghiera. La loro forza sta nell’umiltà. Il riconoscimento dei segni del divino va operato con responsabilità e libertà, la percezione va educata con la virtù dell’attenzione, con l’intuizione del gusto e l’esercizio del disgusto (Simone Weil). Il senso è scritto nell’esperienza, ma ha bisogno di essere decifrato e interpretato oltre l’ambiguità e il disincanto di una sensibilità ferma alla grammatica della pura materialità.
Il frutto più appassionante dell'atteggiamento religioso è la fiducia positiva nella vita, è la "forza della fede", esatto opposto della fuga dalla realtà, quella che fa dire al credente: "ho fiducia che ciò che sta al di là di questo mondo significhi qualcosa di buono per me; ho fiducia che Dio, che è il Signore di questo e di tutti i possibili mondi, non abbandonerà la sua creatura"