Mettere il mondo sottosopra
“Vado a prepararvi un posto” (Gv 14,2). Il potere dell’amore si esprime così: donare un posto, liberare dal destino; personificare, strappare all’anonimato. “Posto” è sinonimo di sicurezza (un posto di lavoro), di conforto (un posto al sole), di salvezza (“sono a posto”).
Nella secolarizzazione il posto non è più il cielo ma è qui e adesso. Si chiama “benessere”, una prospettiva di appagamento e di agiatezza fondato sulla disponibilità e sull'aumento dei consumi. Questi sono resi possibili e messi a disposizione di tutta la società dallo sviluppo della tecnologia. La secolarizzazione scambia il fine (“Mostraci il Padre e ci basta!”) con i mezzi, annulla ogni senso e direzione (“Non sappiamo dove vai”).
Il benessere, infatti, più che una condizione reale, è un'attesa, una speranza, una figurazione di tipo psicologico. Nella società post-industriale l'immaginario collettivo ha disegnato nuove aspettative. La tecnologia promette di realizzare l'utopia di una possibile perequazione sociale delle opportunità e delle risorse (i mezzi offerti a tutti) prospettando in questo modo la fine del conflitto sociale e invitando ognuno a partecipare a piene mani al piacere dell'abbondanza. Questa universalizzazione dei mezzi tende a porsi come assoluto, fino a fare dimenticare l'orizzonte dei fini. E' pertinente l'osservazione di U. Galimberti quando sostiene che la tecnica: "è un assoluto dei mezzi perché non ha in vista dei fini ma solo degli effetti, traduce i presunti fini in ulteriori mezzi per l'incremento infinito della sua efficienza" (Psiche e techne, p 681). Non appartiene al controllo della tecnica l'esigenza di porre fini ma esclusivamente quella di offrire dei mezzi in vista di fini lasciati all’indeterminatezza. Produzione e consumo dei beni diventano obiettivi perseguiti per se stessi. Anzi, la smisurata capacità di produzione e di distribuzione dei beni supera di gran lunga non solo il reale bisogno ma anche la possibilità stessa di immaginarli, di desiderarli. In questo modo: "la tecnica assolutizza se stessa, facendo della strumentalità l'ultimo orizzonte in modo da rendere invisibile l'assenza di scopi, fino ad estinguerne la stessa esigenza, assegnando ad ogni scopo la finalità di essere un mezzo nella catena dei mezzi; solo i mezzi giustificano il fine".
L'abbondanza (immaginaria) alla quale la società abitua i suoi membri tende ad allontanare sempre più la consapevolezza dei fini, del senso, della direzione: "la tecnica come universo di mezzi che non ha in vista alcun fine, ma solo i risultati delle sue procedure, che 'procedono' unicamente in vista del loro potenziamento, abolisce ogni orizzonte di senso".
L’immaginario tecnologico offre una facile soddisfazione alle richieste narcisistiche dei cittadini. Anche gli adolescenti sono reclutati facilmente e precocemente nei ranghi dei piccoli consumatori.
La "generazione dell’abbastanza" è stata addestrata a rinunciare alle utopie: ad apprendere, attraverso un atteggiamento strumentale, una sufficiente capacità di adattamento al relativismo e alla frammentazione della società complessa.
O, forse, più precisamente, sostiene ancora U. Galimberti, il vero problema di chi alla società tecnologica non può (o non vuole) sottrarsi, consiste nel non riuscire neppure ad interiorizzare la produzione di quell'abbondanza cui si vorrebbe partecipare: "Le sue potenzialità sentimentali, pulsionali, emotive sono completamente azzerate dalle richieste cognitive di cui si nutre la cultura oggettivata delle cose rispetto alla cultura soggettiva degli individui". Questa vera "malattia dell'anima" produce le nuove forme dell'estraneità giovanile che non sono più quelle della devianza o della trasgressione ma piuttosto l'indifferenza, la non partecipazione, il rifiuto della comunicazione, l'impoverimento drastico delle capacità emozionali, se le emozioni sono il modo soggettivo con cui ognuno partecipa alle vicende del mondo.
La vera causa di questa condizione va individuata, prosegue il filosofo, in una "cultura soggettiva troppo inadeguata rispetto alla cultura oggettivata dispiegata dalla tecnica”.
La soluzione scelta a Gerusalemme dai primi discepoli di Gesù è stata coraggiosa e quanto mai attuale. Sinteticamente gli Atti degli Apostoli riassume così il popolo credente: “Quelli che mettono sottosopra la città, nel nome di Cristo”. “Sottosopra” non è il disordine sociale o la ribellione violenta è porre “sopra” ciò che è finito “sotto”: stabilire i fini sopra i mezzi, le persone sopra le cose. Gesù lo aveva insegnato con un linguaggio ancora più forte: “Rimettere gli scarti al centro” (Lc 14,21).