Di se stessi si muore
Ciò che Zygmunt Bauman ci ha insegnato
L’inizio del terzo millennio è stato contrassegnato dalla più straordinaria ed epocale crisi della relazione interpersonale. Sta avvenendo una rivoluzione globale nel modo in cui le persone pensano se stesse (il soggettivismo, ma anche il narcisismo) e in cui formano i legami (l’individualismo, ma anche l’indifferenza). Secondo lo stile dell’”individualmente insieme” I legami diventano leggeri, tendenzialmente indifferenti, mentre l’affettività si complica e si appesantisce. La diffusione crescente delle malattie della soggettività, di cui le dipendenze sono sintomo, rende evidente il vuoto e l’infelicità della vita ridotta a consumo di esperienze emozionali, prima ancora che di merci e di cose.
Z. Bauman è stato un interprete originale e acuto della svolta del nuovo mondo che abitiamo. Egli ha scritto di diritto e di arte, di sociologia e di etica. Si è soffermato sulle tragedie provocate dalla globalizzazione economica e su una società che, divenuta incapace di proteggere i suoi membri più deboli, ha perso lo statuto di “comunità”. Il sociologo polacco ha sempre sostenuto che attribuire alla società il compito di decidere il bene e il male abbia costituito la radice ultima delle catastrofi del XX secolo. È la dimensione morale originaria e pre-sociale dell’individuo che fonda la società, e non viceversa. Noi non siamo morali perché siamo sociali, ma siamo sociali perché siamo morali. L’Altro mi chiama alla responsabilità, alla capacità morale di rispondere a chi ha bisogno di me. Nella modernità “liquida” invece tutto si scioglie: significati, legami, individualità. Prevale un nuovo tipo di aggregazione sociale che Z. Bauman indicava come “sciame”, dove il senso coincide con il “raggiungere l’effetto”, dove il legame con gli altri è di tipo meramente funzionale e deriva direttamente dall’intensità del coinvolgimento. “Tecnoliquido” è il nuovo scenario naturale che si staglia sullo sfondo dell’umanità postmoderna e che segna una mutazione antropologica senza precedenti. Siamo diventati cittadini di quella che oggi è definita “società incessante”: una vita sempre attiva, sempre più incapace di vivere il tempo. Nell’abbraccio inevitabile tra il mondo liquido e la rivoluzione digitale, i legami sono diventati evanescenti e insicuri. Alla leggerezza delle relazioni senza impegno non è corrisposta però la stabilità del piacere ma un’affettività inquieta e pesante; alla fragilità psicologica, sono seguite le identificazioni “solide” delle dipendenze e delle immaturità; all’evanescenza degli affetti è subentrata l’ingannevole sponda dei comportamenti standardizzati; alla gratificazione illusoria del narcisismo la paura dell’altro, la ribellione nei confronti della comunità. L'esito complessivo è stato un rapido indebolimento dei rapporti umani che si sono spogliati d’intimità ed emotività. Nella società nel suo complesso la gente è più isolata e ha meno opportunità si esprimere collettivamente emozioni e sentimenti veri. È prevalso un modello consumistico generalizzato che predilige la gratificazione istantanea e il vantaggio individuale: “Quando è pilotata dalla voglia, la relazione fra due persone segue il modello dello shopping, e non chiede altro che le capacità di un consumatore medio” (Amore liquido, p.19). Il matrimonio e la famiglia, che sono le origini e la custodia della vita affettiva, sono così diventati “istituzioni guscio”: non si sa più che cosa vogliano dire. Anche l’amore si è ridotto a una formula vuota, a una parola inaffidabile. Sembra premiato chi è di casa ovunque e da nessuna parte. Persone leggere, briose, volatili la cui ricchezza dipende dall’immagine che associano a sé, che si adattano, “individualisticamente insieme”, alla via senza direzioni. Sciogliere il legame significa però eliminare il piacere. Lo racconta la lunga storia degli amori traditi, dei legami evanescenti, dell’affettività immatura. Sono evidenti i disagi di quest’“insostenibile” leggerezza: l'infanzia infelice, l’adolescenza ingestibile, i disturbi alimentari, i disagi psichiatrici, le depressioni, la noia esistenziale.
Nella società dell’incertezza, tutto diventa discutibile, relativo e “discorsivo”; i punti di riferimento essenziali della vita diventano indeterminati, come sospesi nel vuoto. Prevale così la sensazione di vivere in un mondo fittizio, dove conta l’immediatezza della comunicazione, dove la veracità vale più della verità, l’immagine più della realtà.
Il culto consumistico delle merci ha alimentato l’illusione che il godimento dei beni disponibili avrebbe pacificato gli egoismi ed eliminato i conflitti. Si è immaginata una democrazia planetaria (globalizzazione) affidata alla potenza della tecnica.
Nella città frammentata e incomprensibile, a prevalere è quel senso d’insicurezza e paura di cui ha scritto l’ultimo Bauman: tensioni etniche, reazioni identitarie, rottura della solidarietà, aumento delle disuguaglianze, derive d’impoverimento, conseguenti alla sfiducia nella capacità umana di prevedere e controllare gli effetti delle proprie azioni. Nel mondo dove non c’è più l’Altro non si coltiva la responsabilità verso la verità, né sembra imporsi l’interesse a farla valere. In un’epoca dello sgretolamento, il dovere è diventato ormai obsoleto. Solo un soggetto che si riconosce costitutivamente in relazione è capace di responsabilità.
L’entusiasmo per il nuovo mondo delle “relazioni pure”, cioè senza impegno, non è durato a lungo. Sono bastati pochi decenni all’insegna dell’“amore liquido” per far crescere la consapevolezza di quanto sia improbabile una vita umana soddisfacente al di fuori della stabilità affettiva. Solo nell’amore e nell’affetto possiamo le persone si conoscono e si riconoscono. Il codice dell’amore si è corrotto. Gli affetti, però, non possono essere lasciati al caso: pur essendo l’amore il più personale dei valori, la sua espressione è questione pubblica della massima importanza. La vita sempre meno improntata da tradizioni, regole, condizioni, spinge le persone a costruire percorsi individuali (anche se poi risultano massificati o standardizzati), consegnando al singolo il compito di trovare il suo posto. Se non esistesse nulla di stabile, se nulla avesse valore se non nell’attimo in cui si dà, se l’ “etica” diventasse pura “etichetta” e i valori semplici valutati, non sarebbe neppure possibile la costruzione di esperienze comuni.
Non può esistere però società umana senza solidarietà, che è la volontà di prendersi cura degli altri. "La società umana si differenzia dalle mandrie, dai branchi o dalle orde di animali per la sua capacità e volontà di annoverare tra i suoi membri anche creature in cattive condizioni" (Tutti schiavi del fitness p. 43). Z. Bauman ha sostenuto a più riprese che la sofferenza costituisce l'appello al volto dell'Altro: è dunque una via capace di rifondare il legame sociale. Nella malattia incurabile, nella decadenza del corpo, nella disuguaglianza dell'ingiusta distribuzione delle risorse, la sufficienza umana è posta in scacco. "Davvero terribili le minacce che le trasformazioni in atto prospettano alla sostanza stessa della società umana (…) che si fonda sulla (ed è tenuta insieme grazie alla) compassione e sul rispetto per gli altri".
Non volendo trasformare il mondo, l'unica via di scampo consiste nel badare a se stessi, ma è inutile e dannoso dare risposte individuali a problemi che sono di origine sociale. Nella figura dello spettatore di eventi, il grande pensatore ha denunciato una delle patologie dell’Io: “Il cittadino globale sa molte cose, ma è sempre meno capace di azione; è informato su tutto, ma si ritiene estraneo a tutto”.
Ci possiamo rassegnare a una concezione minimalista delle nostre attese affettive? Il nuovo immaginario sociale afferma che è sufficiente l’affetto e l’aiuto reciproco. Alla fine l’”homo consumens” appare nella sua povertà: è una persona priva di rapporti affettivi solidi e stabili. L’uomo senza qualità, metafora del nichilismo del Novecento, si trasforma, nell’uomo senza legami dei giorni nostri o, secondo una versione più drammatica, nell’“uomo senza prossimo”. Bauman individua due fattori della società postmoderna che hanno modificato radicalmente i criteri che definiscono il “giusto”. Il primo è la proclamazione del piacere quale supremo obiettivo di vita: “la società moderna proclamò il diritto alla felicità come motivo principale per la partecipazione dell’individuo alla società. È ritenuto quindi motivo di “ingiustizia” restare indietro nel processo di universale avanzamento verso una vita più piacevole. La seconda trasformazione riguarda il significato del concetto di “privazione relativa”: “da diacronico (misurato in rapporto ad una situazione passata) divenne sincronico (misurato in rapporto alla situazione parallela di altre categorie di persone)”. Un tenore di vita che non migliori diventa un segno di privazione. La vita tende ad essere definita come un percorso totalmente individuale, nel bene e nel male: la fortuna della vita è attribuita alla propria industriosità, il fallimento alla propria esclusiva responsabilità. Il divario tra ricchi e poveri non può che allargarsi, la “solidarietà” non può che essere funzionale e provvisoria. La fase storica che si è aperta è anche un’occasione per realizzare forme ancora più avanzate di vita umana, dove l’ambizione è quella di trovare un equilibrio tra l’essere radicati e l’essere aperti.
Dal disastro ecologico e dal fondo di disperazione di vite umane trattate da scarto è maturata progressivamente la consapevolezza che la terra è l’unico mondo di cui l’umanità dispone e che la felicità di ciascuno può realizzarsi solo con e nella felicità degli altri. I giovani, per dirla con Bauman, sono portatori della domanda del “come vivere” oggi, questione politicamente rivoluzionaria.
Nela sua lunga vita Z. Bauman ha combattuto, con la qualità migliore del pensiero, la malattia più grave del nostro tempo: il narcisismo. Numerosi intellettuali d’Europa stanno insegnando alle giovani generazioni a vivere di loro stessi. Il grande sociologo, con una quantità impressionante di dati e di ragioni, ci ha mostrato che di se stessi si muore.
Consulta le TRE COLONNE DEL NOSTRO VOLONTARIATO. E' la nostra proposta per il contrasto al narcisismo crescentte
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