Vera conoscenza
Pietro sa tutto su Gesù e lo dice davanti a tutti: "Tu sei il Cristo". Eppure Pietro non crede alle parole che sa. "Stai dietro a me, satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini".
Conosce ma non è ancora davvero discepolo, non sta dietro al Maestro.
Gesù è il messia. Ha quindi i tratti del "servo di Dio", descritti già dal profeta Isaia: “Ho presentato il dorso ai flagellatori, la guancia a coloro che mi strappavano la barba; non ho sottratto la faccia agli insulti e agli sputi”.
Credere in Gesù vuol dire riconoscerne le conseguenze. "Se qualcuno vuol venire dietro di me rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vorrà salvare la propria vita, la perderà”.
Non si può prescindere da questa direzione.
Queste parole hanno suscitato sempre molta resistenza e il primo modo per tradirle è stravolgerne il significato.
Così il cristianesimo è diventato per molti la religione della rinuncia e della tristezza, quando invece nell’annuncio di Gesù la sua venuta è la più bella notizia.
Oggi il nostro compito è ritornare al loro significato genuino.
Che cosa significa rinuncia? Che cos’è la croce?
Pietro sa ma non crede. La fede quindi non parte dal sapere. Si conosce solo ciò che si crede. Il percorso è inverso: si sperimenta e si crede. Così si conosce. Come spiega bene la lettera di Giacomo: prima fai e così si vede la fede che hai.
La fede si sviluppa sempre dalla vita.
Esiste un’esperienza che, senza essere atto di eroismo o di straordinarietà riservato a pochi, ma sia accessibile a tutti e c’introduca all’esperienza generatrice e gioiosa della rinuncia?
Sì. È l’amore genitoriale.
Ciò che fanno mamma e papà, non è solo il duro lavoro di cura, che consuma incalcolabili risorse di energie, di tempo e di denaro. È molto più: è il dono di se stessi. Richiede, infatti, non la dedizione di qualche momento ma di tutti i comportamenti quotidiani. L’abnegazione dei genitori è totale: quasi non conoscono più un “bene” proprio, individuale. Il loro bene passa sempre attraverso il bene del figlio, la loro vita di genitori non potrà più essere quella di prima. Le sue attese obiettive s’impongono ormai come una legge. Il cumulo di fatica che la cura comporta (le notti insonni, il ménage familiare sconvolto, l’ansia per le normali difficoltà della crescita) è affrontato con un’energia che i genitori stessi non pensavano di possedere.
I genitori rinunciano totalmente a loro stessi. Questa è la condizione essenziale, indispensabile per accedere all’umano.
Eppure del loro figlio (bambino) mamma e papà mai direbbero che è la loro croce ma piuttosto che è la loro gioia.
Perché invece l’evangelista riporta accanto alla parola “rinuncia” quella della croce?
Perché i discepoli hanno visto nella donazione di Gesù sul calvario il modello e la storia di ogni gesto d’amore perfetto, il volto segreto della stessa cura genitoriale.
L’amore fino all’estremo, quello che si rivela nella morte in croce di Gesù ha rovesciato il significato naturale di “croce”, da patibolo infamante a splendore di gloria e bellezza.