Prenderci cura della vita
L’annuncio al Vangelo è presentato da Gesù come l’invito a una grandiosa festa nuziale, generosa e gratuita, aperta a tutti, senza alcuna distinzione basata su criteri di esteriorità. Ai tempi di Gesù il matrimonio era la più importante festa popolare e interessava non solo i parenti stretti ma tutto il villaggio, dove anche lo “spreco” (pur nella penuria economica della povera gente) voleva indicare la gratuità e la fecondità dell’amore. La veste nuziale fa parte del decoro delle nozze, è il simbolo della dignità della persona e della sua conversione.
L’adesione di fede non produce degli invasati o degli esaltati ma genera persone vere, che danno testimonianza attraverso la qualità della loro azione e della loro vita. La coscienza cristiana è la configurazione che la fede imprime alla concezione della vita, agli stili concreti nei quali il cristiano si comporta e indica il significato che è attribuito alle esperienze. Che si possa annunciare il Vangelo senza la testimonianza di vita dei cristiani è contraria alle indicazioni di Gesù:
“Non chi dice Signore, Signore, ma colui che compie la volontà del Padre mio entrerà nel regno dei cieli” (Mt. 7,21).
La parrocchia, comunità caratterizzata da relazioni territoriali, è la figura ecclesiale che più efficacemente illustra il valore essenziale della pratica morale dei cristiani per la testimonianza evangelica davanti a tutti. I cristiani che frequentano la comunità, ma non sono coerenti nel loro stile diventano oggettivamente una controtestimonianza. Allo stesso modo, la parrocchia è il luogo dove con maggiore evidenza si osserva come, quando si spegne lo slancio missionario, il cristianesimo diventa irrilevante, è sale che ha perso sapore.
Narrare la propria esperienza di fede non può essere disgiunto dal dire come si vive, come si studia o si lavora, come si pensa, come si spende il denaro o ci si diverte. La domanda decisiva allora diventa: “Negli ambienti che io frequento e in cui trascorro parte del mio tempo (la famiglia, la scuola, il lavoro, le varie attività, gli amici…) io sono riconosciuto come il “discepolo di Cristo?”, “Da che cosa si vede che io non solo credo in Gesù ma lo incontro e vivo di Lui?”. Sta qui la forza dirompente della preghiera cristiana, particolarmente nella sua forma liturgica. Si prega in un (breve) intervallo di tempo ma la preghiera che abbraccia tutta l’esistenza.
La fede non conduce altrove, ma riporta dentro la vita.
La parrocchia, comunità caratterizzata da relazioni territoriali, è la figura ecclesiale che più efficacemente illustra il valore essenziale della pratica morale dei cristiani per la testimonianza evangelica davanti a tutti. I cristiani che frequentano la comunità, ma non sono coerenti nel loro stile diventano oggettivamente una controtestimonianza.
I criteri pastorali che Paolo individua per la scelta del vescovo (1Tim. 3,2-5), sono un riferimento prezioso, a questo proposito, perché indicano chiaramente come le dimensioni quotidiane dell’esperienza umana (il rapporto uomo donna e genitori figli, innanzi tutto, poi la relazione con i colleghi di lavoro, l’esercizio quotidiano della cittadinanza...) sono ritenuti i riferimenti essenziali senza i quali il servizio ecclesiale non sarebbe coerente. La vocazione alla santità personale è presentata come realizzabile, non nonostante gli impegni della famiglia, della scuola, del lavoro e della professione, del servizio politico, ma, precisamente, nella fedeltà a queste prime esperienze di vita. Il dono che Cristo fa all'umanità è indissociabile dalle relazioni interpersonali che s’instaurano (“risplendete come astri nel mondo” Fil. 2,15).
La veste nuziale indica la cura che dedichiamo al nostro essere al mondo. Ci troviamo a vivere in situazioni quotidiane precise (quelle persone, quelle responsabilità, quei vincoli…). Siamo consegnati al compito irrevocabile di doverci occupare della vita.
La fede si vede dal nostro far fronte al compito di vivere, dalla cura con cui facciamo fiorire il nostro essere qui e adesso.