Vera e falsa nostalgia del cielo
I quattro Vangeli attestano che Gesù, morto sulla croce, il cui corpo è stato deposto nel sepolcro, si è in seguito mostrato vivo, più volte e in diverse occasioni, agli apostoli e a un certo numero di discepoli. Le testimonianze che essi hanno trasmesso al riguardo sono tanto più degne di fede per il fatto che queste apparizioni non hanno immediatamente convinto coloro che ne hanno beneficiato. Essi hanno dubitato a lungo della realtà di queste manifestazioni intermittenti che sono cessate dopo un certo tempo. Luca è l'evangelista che parla più ampiamente di quella che viene chiamata l'ascensione del Signore, cioè della sua "elevazione al cielo", dove è scomparso alla vista degli uomini e da dove ritornerà un giorno.
L'Ascensione al cielo, altro modo di dire il mistero della Pasqua di Cristo, riguarda direttamente la Chiesa terrena. Il mistero è detto nella forma di un paradosso: "Perché state a guardare il cielo?". La metafora racconta che gli apostoli che non riuscivano a staccare i loro sguardi dalla nube nella quale Gesù era scomparso. Il Signore è ritornato nella dimora invisibile da cui era disceso, prendendo la carne della nostra carne. Ci può essere dunque qualcosa di più bello del cielo? O di più importante, degno di catturare ogni attenzione? Non vale la pena perdersi in quella contemplazione?
I discepoli guardano in alto, e invece sono invitati a guardare in terra, fra la gente. L’attesa del Signore non va vissuta separandosi, nel chiuso di una comunità di nostalgici, ma nel mondo, destinati alle folle. “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura”.
La missione esige una «partenza»: andate. Il discepolo non aspetta che la gente del mondo si avvicini: è lui che va incontro a loro, fino a immergersi totalmente come il lievito nella pasta. Non si tratta semplicemente di offrire un messaggio, ma di instaurare una relazione.
L’annuncio parla di un Padre, dunque costruisce fraternità.
Il discepolo si lega alla persona del Maestro e s’impegna a condividere il suo progetto di vita. «Sarò con voi fino alla fine del tempo»: è questa la promessa, che dà al discepolo la forza di svolgere la sua missione.
Viviamo però tempi in cui non c’è più nessuna (apparente) nostalgia di cielo, dove lo sguardo è tutto rapito dal basso. Il cielo appare disabitato, conta solo la città secolare.
La fede cristiana riceve oggi dal secolarismo uno stimolo importante per proporre la scelta religiosa come pienezza dell’umano, anche in un mondo disincantato. Questa purezza della fede deve però rinunciare a considerarsi come mera funzione sociale, deve prendere le distanze dalla religione civile (vaga, provvisoria, nostalgia alienante). Concentrandosi sull’essenziale eviterà in ogni modo di considerare la fede secondo i criteri mondani del marketing: Dio, il bene che garantisce la nostra migliore autorealizzazione. La pienezza è intesa e sperimentata, infatti, come dono di Grazia. Lo ha dichiarato Gesù, nell’ora suprema della croce: “Il mio regno non è di questo mondo” (Gv 18,36). Credere in Cristo è certamente l’aiuto più efficace per vivere e per vivere in pienezza, ma solo perché la fede fa comprendere la vita come una destinazione che trascende i confini tra il nascere e il morire. La tradizione cristiana ha espresso quest’esperienza, definendola partecipazione alla natura stessa di Dio (2Pt 1,4). La patristica greca aveva parlato di theiosis, del “diventare divini”, come felice vocazione umana.
Se il cristianesimo non sarà capace di abitare in modo creativo la nuova condizione della secolarità, non potrà essere all’altezza del suo compito che ha l’incarico di adempiere e che il suo Signore ha destinato alle moltitudini (Mt 26,28): che la destinazione umana non è la morte e che, al termine della vita, saremo giudicati esclusivamente sulla nostra disponibilità alla condivisione e al dono, cioè al valore della vita umana.
La fede cristiana è religione d’incarnazione: l’assunzione dell’umano comune (espressa come capacità di comunicazione con le folle) spinta oltre l'ordinaria prosperità umana, coincidenza d’immanenza e trascendenza, come indicata nel mistero dell’incarnazione del Figlio di Dio.