Credere oggi


Non è facile capire la preghiera cristiana. Se Dio è un Padre buono che a tutti provvede con una misericordia infinita, perché pregare e domandare? Gesù dice: "Pregando, poi, non sprecate parole come i pagani, i quali credono di essere ascoltati a forza di parole. Non siate dunque come loro, perché il Padre vostro sa di quali cose avete bisogno ancor prima che gliele chiediate" (Mt 6,7-8).
Eppure lo stesso Gesù dice più volte e in diversi modi: "Chiedete e vi sarà dato, cercate e troverete, bussate e vi sarà aperto. Perché chi chiede ottiene, chi cerca trova, a chi bussa sarà aperto" (Lc 11,9-10); e racconta la parabola dell'amico importuno, che ottiene esaudimento dall'altro, già a letto con i bambini, non "per amicizia, ... ma per la sua insistenza" (Lc 11,5-8).
Così oggi ci insegna a "pregare sempre, senza stancarsi" (Lc 18,1). In questo tempo di passaggio, dove viviamo l’incompletezza e la vulnerabilità, la preghiera è una necessità di confidenza e di affidamento. Così pregava il centurione, il padre dell'epilettico implora o i dieci lebbrosi o il cieco di Gerico. Così insegnava san Paolo “in ogni necessità esponete a Dio le vostre richieste, con preghiere, suppliche" (Fil 4,6). Insistere ostinatamente è affidare tutto a Dio per non pensarci più. È la liberazione reale di nostri quotidiani affanni, come avviene nel racconto della vedova e del giudice ingiusto. In questo scontro tra il potente (che amministra i diritti di tutti) e la vedova (quella che era per statuto la “senza diritti”), la preghiera perseverante ottiene la salvezza. Gesù lo aveva fatto vedere nella vedova che getta nel tesoro l’unica monetina, eppure è la più forte di tutti. Dio stesso fa giustizia all’oppresso, alla vedova, all’orfano, allo straniero. È questa certezza che motiva all’insistenza. Eppure il dubbio ci tormenta, spesso, proprio quando più insistiamo: Perché Dio tarda? Perché non si vedono risultati? Perché ci fa aspettare a lungo?
La risposta evangelica sta proprio in questo verbo, che è impossibile tradurre in italiano letteralmente “Macrothymein” (pensare in grande). Dio ci fa aspettare perché lui “pensa in grande”. Noi siamo increduli e impazienti perché vediamo corto. Avviene come nella metafora dell’antico inno mariano: siamo come in una valle (per giunta, di lacrime). Chiuso dalle colline o dalle montagne l’orizzonte è ristretto e cupo. Il panorama cambia se si osserva la valle dal punto più alto della montagna. Dio è l’infinito e l’eterno; la nostra mente è limitata e contingente. Pregare è chiedere lo Spirito Santo, cioè vedere le cose in Dio: “Il Signore non ritarda l'adempimento della sua promessa ma è paziente verso di voi non volendo che qualcuno perisca, ma che tutti giungano al ravvedimento. Perciò considerate che la pazienza del nostro Signore è per la vostra salvezza” (2Pt 3,9-15).
Rinunciare alla nostra angusta veduta per porre tutto nell’eterno e nell’infinito. È ancora Gesù che ce lo insegna nella sua personale, angosciata preghiera: "Non sia fatta la mia, ma la tua volontà" (Lc 22,42). Lo facciamo anche noi, quotidianamente, nelle nostre preghiere di intercessione: “Sia fatta la tua volontà”. Questa consegna è davvero la nostra speranza e la condizione di una felicità duratura, purificata dalle prove poste dai nostri insuperabili limiti. Per questo credere è tanto difficile: “il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?”

 




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