Siamo salvi.


“Rallegratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto ancora”.
La felicità non possiamo darcela da soli. Appartiene alla grazia. Possiamo però togliere gli ostacoli che la impediscono. Noi siamo stati voluti per la felicità. La troviamo per esempio quando ci apriamo agli altri: "Chi ha due tuniche, ne dia una a chi non ne ha; e chi ha da mangiare, faccia altrettanto". La raggiungiamo attraverso la pratica della giustizia e vita spesa nell’onestà: “Non esigete nulla di più di quanto vi è stato fissato".
Il Natale cristiano annuncia una bella notizia per i giusti. Ne sono loro infatti i protagonisti.
Oggi i confini della pratica della giustizia si sono dilatati. Riguardano le vulnerabilità di sempre: quella di chi ha perso tutto, di chi non ha di che vivere, di chi è toccato nel corpo per la malattia o la disabilità.
Facciamo però l’esperienza di due vulnerabilità che il mondo antico ignorava e che noi invece avvertiamo con una drammaticità sempre maggiore.
Ci sentiamo fragili nella nostra psiche e nella nostra anima. Portiamo con maggiore fatica il peso della vita, ci sentiamo più sprovveduti di fronte alle avversità, ci ritroviamo meno affidabili nella nostre promesse. Siamo attaccati e vinti più facilmente. Abbiamo più cose, maggiori conoscenze e opportunità, ma siamo più soli. Senza legami solidi siamo più esposti alla paura. Impauriti diventiamo più aggressivi nei pensieri, nelle parole e nel comportamenti. Ci rassegniamo più facilmente alle atrocità quotidiane.
Questa nostra nuova vulnerabilità è collegata a un’altra perdita, dalla cui angoscia le generazioni precedenti erano risparmiate: la ferita della natura. Il grido dei poveri si unisce oggi al grido della terra. Stiamo trasferendo sulla natura la vulnerabilità che ci tormenta. La nostra aggressività diventa sfruttamento e devastazione; l’egoismo inquinamento dei beni comuni essenziali come l’aria, l’acqua, il cibo; l’incapacità di accogliere distruzione della biodiversità. Si attualizzano ancora le parole dei profeti: la desertificazione avanza, la terra inaridisce nella cementificazione, il terreno si riduce a sterile steppa. Le nostre mani si sono fatte fiacche, le ginocchia vacillanti, il cuore smarrito. Sentiamo il bisogno di parole affidabili: "Coraggio, ce la farai! Non lasciarti andare giù”.
Così ci viene incontro la liturgia di oggi: "Non temere, Sion, non lasciarti cadere le braccia! Il Signore tuo Dio in mezzo a te”.
Siamo diventati talmente deboli che non reggiamo più i rimproveri. Parole forti e dure anziché spronarci ci incattiviscono, ci bloccano, ci demoliscono.
Il battesimo in Spirito santo e fuoco che attendiamo, non riusciamo a immaginarlo secondo le metafore del Battista: “Egli ha in mano il ventilabro per ripulire la sua ala e per raccogliere il frumento nel granaio; ma la pula, la brucerà con fuoco inestinguibile".
Gesù ci conosce bene. Non compirà le parole di chi gli preparava la strada. Il Cristo è stato davvero: “Il Signore tuo Dio in mezzo a te”. Non ci castiga, non ci minaccia, anche se lo meritiamo. Ci prende per mano. Fa della nostra miseria, un punto di forza: “Beati voi che siete poveri…”. In lui giustizia e virtù della povertà coincidono. Siamo salvi.

 




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