Giuseppe, il falegname custode


Tra i personaggi del Natale non si può trascurare Giuseppe, il falegname di Nazareth. La sua figura ha qualcosa di essenziale da donare ai nostri giorni. Dal matrimonio con Maria fino all’episodio di Gesù dodicenne nel Tempio di Gerusalemme, accompagna la sua famiglia nei momenti drammatici come in quelli stupendi, nella quotidianità della casa come nel laboratorio, dove trasmette il mestiere al figlio. È l’uomo capace di mettersi continuamente in discussione. Sa attendere e prendere decisioni sagge, con una presenza costante e una fedeltà totale, anche quando non comprende.
Giuseppe è presentato come il “custode”, perché sa rendersi quotidianamente umile e attento a quanto la vita offre da sperimentare, perché si lascia continuamente guidare dalla sua sensibilità verso le persone a lui affidate.
L’attitudine del custodire precede e accompagna ogni azione umanamente riuscita. Si accompagna all’assunzione della responsabilità e riguarda tutto e tutti. In fondo, ogni cosa è affidata alla custodia umana. Parte dall’aver cura l’uno dell’altro nella famiglia. “Tirare su figli” è il primo atto di responsabilità della persona matura, la prima custodia del futuro. I coniugi fedeli si custodiscono reciprocamente e con il tempo anche i figli diventano custodi dei genitori. Custodia è anche l’amicizia, assumendo, quando occorre, conflitti e rotture, nel rispetto del vero e del bene. La responsabilità matura si dilata fino a comprendere la comunità, la società civile. Diventa aver cura di tutti, custodire la gente, specialmente i bambini, gli anziani, i vulnerabili.
La terra oggi è il povero, il vulnerabile per eccellenza e chiede di essere salvaguardata. Farci “custodi” dell’ambiente che ci fa vivere, significa non lasciare segni di distruzione, contrastare la cultura dello scarto e del consumo che avvelena le fonti dello spirito. Anche l’umano può degradarsi, così avviene per l’ambiente. È evidente la circolarità tra l’abbandono della natura e gli effetti devastanti dall’indebolimento della coscienza. Quando la cultura tende al nichilismo, la natura paga le conseguenze. L’umano rischia quanto la terra, l’aria e l’acqua. C’è un’ecologia umana, cifra sintetica della custodia, che trasmette i suoi riflessi nella famiglia e nell’economia, come nell’ambiente. Parte dall’interiorità per divenire azione concreta realizzazione. Custodia di se stessi, dell’altro, della natura: piantare un albero vale come una stretta di mano. Custodia dell’umano comune: cura della mia vulnerabilità, cura del mio vicino, cura delle foreste. È un unico movimento, che unisce il rispetto per la mia vita alle questioni dello sviluppo dei popoli. Separare questioni etico-pratiche dall’interiorità spirituale significa non tenere in conto il mutuo risolversi delle une nell’altra. Tutto si sviluppa dal rifiuto dell’“A me che interessa?”, per essere semplicemente umani.
L’icona di Giuseppe svela il segreto di un tale percorso. La custodia è l’esercizio non violento della responsabilità. Si combina con la tenerezza, che è la vera espressione della fortezza d’animo, capacità di amore e di attenzione, di compassione e di disponibilità. Comporta la pazienza dei tempi lunghi, quella che s’impara nel lavoro dell’orto, nella cura della vigna. È umiltà che non soffoca, ma ospita e genera.
Custodire ogni cosa con uno sguardo di tenerezza e amore, è aprire l’orizzonte della speranza e del futuro. E’ uno squarcio di luce in mezzo all’angoscia di questi giorni, quella che è entrata nelle nostre case, riflessa nei volti impauriti dei bambini di Aleppo.
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