Giornata mondiale dei Poveri


Il luogo della vita cristiana è il mondo e la sua storia.
Discepolo fedele non è, di per sé, la persona perfetta moralmente o pienamente realizzata umanamente, ma chi, pur nella fatica e nelle contraddizioni, diventa trasparente all’azione di Dio. Gesù ha indicato con il termine Regno di Dio, l'azione di Dio nell’umanità, il luogo della beatitudine dei poveri e dei miti.
La beatitudine dei poveri nello spirito è la prima e quella che, in qualche modo, riassume le altre. All’anelito e al desiderio del povero fanno eco le parole di Paolo: “Sappiamo infatti che fino a ora tutta la creazione geme ed è in travaglio; non solo essa, ma anche noi, che abbiamo le primizie dello Spirito, gemiamo dentro di noi, aspettando l'adozione, la redenzione del nostro corpo” (Rom. 8,22-23).
La comunità che vuole testimoniare lo stupore del Vangelo ha bisogno di un diapason, di una nota chiara da cui accordare tutte le altre: è l’accoglienza e la scelta privilegiata dei poveri. Il servizio verso chi non ha nulla da ricambiare (Lc. 14,14): i bambini, gli stranieri, i poveri, i nemici, è indispensabile per entrare in contatto con l’“economia della grazia”. La parola dei poveri fa quindi intendere diversamente il Vangelo e lo riporta al suo fascino originario.
Il Dio biblico non si limita a essere un Dio per i poveri, nemmeno un Dio con i poveri, ma, in Gesù, Dio stesso si è fatto povero. Questa è la “buona notizia” per gli umili della terra.
La Chiesa che prega è guidata a riconoscere nel volto sfigurato dei poveri i segni del regno che viene.
La presenza dei dimenticati e dei poveri è sempre il sintomo di un deficit nella logica della grazia. I cristiani non ne hanno il monopolio ma hanno la responsabilità di aiutare a riconoscerla, di nominarla, di riportandola a chi ne è l'autore. Lo Spirito ha guidato la Chiesa contemporanea a essere una comunità più povera, che cerchi di avere i poveri come protagonisti. Non c’è speranza di spezzare gli stili di vita ingiusti e in autentici se non ritrovando le radici della beatitudine della povertà e della mitezza traducendola in nuovi modelli di sviluppo. La Chiesa, però, non si caratterizza per i progetti politici e sociali che ha da offrire, ma, senza identificarsi con alcun progetto o area politica e culturale, può percorrere una strada di umiltà che la mantenga fedele alla propria missione, diventando luogo di speranza per tutti.
Un errore che molte parrocchie cercano di evitare (come documentano, per esempio, i siti web in cui sono illustrate le loro proposte) è la rinuncia ai loro valori religiosi in favore della ragione strumentale (misurando tutto con il metro del pragmatismo), del consenso sociale (nascondendo l’ispirazione cristiana), dei vincoli ideologici (proponendo solo ciò che risulta “politicamente corretto”).
Molte comunità cercano di assumersi gli obiettivi essenziali di una effettiva liberazione umana, attraverso la creazione concreta di spazi e l’offerta di servizi e proposte che obbediscano a una logica diversa da quella mondana, prendendo a modello non la fantasticheria ideologica ma l’utopia evangelica del piccolo seme.
Queste parrocchie educano i cristiani a cercare Dio non solo nei “luoghi puri” (la Scrittura, i Sacramenti, la liturgia, la comunità domenicale e credente) ma anche nei “luoghi contaminati”: là dove si condensa la vergogna e il fallimento e dove più evidenti diventano le contraddizioni e le tensioni della società “ingiusta” . Considerano, anzi, questi come il luogo naturale della rivelazione cristiana, dove si compie la beatitudini dei poveri cui è destinato il Regno.
La strada è aperta dall’intramontabile promessa di Gesù: “Cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”. Le sue parole sono quelle del Regno destinato ai poveri.

 




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