Pensare in grande
A noi umani piace tanto narrare e ascoltare storie. Quando c’incontriamo abbiamo sempre qualche fatto, qualche evento, qualche novità da raccontare Romanzi e film non finiranno mai. La bibbia è uno straordinario libro di racconti: la storia sacra. Noè, Abramo, Mosè, i profeti sono personaggi conosciuti da tutti e da secoli. Questa lunga storia è continuata con altri personaggi ancor più conosciuti come Gesù di Nazareth, Pietro il galileo, Paolo di Tarso. Un intreccio di storie e di terre.
Gesù amava molto raccontare storie. Chi li ha sentite e le ha scritte le ha chiamate: la buona novella, l’evangelo: bella storia.
La sua predicazione avviene in parabole, racconti che tutti possono comprendere, perché riguardano gli affetti della vita quotidiana e le storie quotidiane della vita: il lavoro, la casa, il denaro, la cura del debole e del vulnerabile, i padri e i figli. La rivelazione che salva il mondo avviene nella vita quotidiana della gente, fuori dai grandi eventi che non diventano racconto e storia. L’annuncio è formulato in parabole, in modo che ognuno possa decidere, secondo la propria consapevolezza e sia garantita la libertà di aderire senza condizionamenti. Gesù racconta ma esclude la propaganda e il proselitismo.
Nel vangelo di oggi, Gesù commenta i fatti di cronaca del momento. Non si ferma alla chiacchiera ma invita a pensare, a riportare gli eventi alla propria coscienza, a diventare protagonisti di una storia nuova: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Le risposte di Gesù sono sempre sorprendenti. Non accettano mai di entrare in dialettiche di contrapposizione: pagare o no il tributo a Cesare. Inventano una terza soluzione. Neanche oggi, se partecipasse ai nostri commenti sulla guerra non sceglierebbe, possiamo immaginare, né l’equidistanza né semplicisticamente una parte contro l’altra (certo la guerra è chi la dichiara ha sempre sbagliata). La visione di Gesù è molto più radicale. La carne di mio fratello è carne mia. Il soldato che rantola a terra chiede conto a chi lo ha ucciso. Chiede conto anche a noi: “Perché?” Perché questa morte? Perché la guerra?
Da questa domanda scaturisce la virtù della com-passione: la volontà di immedesimarci nelle sofferenze altrui, la consapevolezza di quanto si soffrirebbe trovandoci stessa situazione di altri che, da una parte o dall’altra chiamiamo fratelli, se crediamo che Dio è Padre.
Senza com-passione diventiamo come il fico sterile che ha incontrato Gesù. Ci vorrà molta pazienza a ricostruire ciò che è andato perduto. Il nostro non è un tempo di entusiasmo ma di stanchezza e disincanto. La storia di Dio però continua, ne siamo certi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Sono state le ultime parole di Gesù riportate nei vangeli. Questa compagnia di Gesù è la testimonianza della pazienza di Dio. Questa parola nella lingua greca dei vangeli significa “pensare in grande”. La guerra è la conseguenza drammatica di chi pensa in piccolo e (si) distrugge. Dio pensa in grande: invita a “zappare attorno e mettervi il concime”. La nostra missione è “portare frutto per l'avvenire”. La speranza ha bisogno di un pensiero grande che non si rassegni mai al fallimento del nostro peccato ma accolga ogni volta la misericordia e si rimetta in cammino.