Maria, la Madre
Nei paesi di montagna, nelle località della villeggiatura, nelle parrocchie di campagna la festa dell’Assunta non si ferma al 15 agosto ma prende tutta settimana…
Perché nel cuore dell’estate una festa così popolare, riferita a Maria?
Perché riguarda l’esperienza più importante della nostra vita: i nostri affetti. Associamo subito Maria al ruolo della madre, cioè all’esperienza dell’essere amati e dell’amare. Noi tutti abbiamo provato che cos’è l’amore tra le braccia della madre, nella prima infanzia. Lì abbiamo imparato che l’amore è ciò che ci fa vivere. Siamo venuti al mondo da un atto d’amore, siamo cresciuti sani e felici per l’amore ricevuto. Ma fin da subito abbiamo anche sperimentato che ciò che ci fa vivere, può smettere di esserci, può allontanarsi, sparire, tramontare. Su questo orrore si fonda l’umano, fin dal primo pianto. Il nostro più grande dolore, quello che ci fa presentare a Maria, “gementi e piangenti in questa valle di lacrime”, ci deriva dal fatto che i nostri affetti possono finire. Sicuramente finiscono con la morte. Perdere una persona cara è più doloroso e tremendo della nostra stessa morte. Non meno doloroso della morte è il tradimento (dell’amore, dell’amicizia). Oggi i nostri affetti sono diventati più deboli, la nostra persona quindi più vulnerabile, la nostra vita meno gioiosa. Abbiamo perso molto: nessun benessere potrà mai ridarci ciò che era la sicurezza affettiva. Ma più ci sentiamo fragili, più cresce la nostalgia dell’amore. Più ci sentiamo minacciati, più ci attacchiamo ai nostri affetti.
Maria, donna come ogni altra madre, ci assicura: c’è un affetto che mai verrà meno. L’amore non può essere preda della morte.
Abbiamo un messaggio da ricordare a tutti, credenti e non, da portare nelle strade della città: “La morte non è il nostro destino”. La nostra passione per gli affetti giusti è destinata a identificarci eternamente. Saremo eternamente quello che i nostri affetti hanno deciso che vogliamo essere. Saremo eternamente i nostri affetti, nel bene e nel male. Al termine della vita saremo valutati solo su questo. E già in questa dimensione terrena a provvisoria noi siamo ricordati dagli altri esclusivamente per i nostri atti d’amore, per la nostra capacità di dono.
Un altro modo di dire la stessa cosa sono i fiori, in questi giorni di festa sempre abbondanti nelle chiese di campagna. Sono fiori della terra, degli orti e dei giardini delle case. I fiori dei contadini. Gesù amava tanto questo genere di fiori: li chiamava “i fiori del campo”. L’amore è l’unica esperienza umana che ci fa fiorire, che fa sbocciare il meglio di noi. Si è belli in misura di quanto si è amati e si ama. Quando si è amati non c’è confronto quanto a bellezza!
Come avviene nei fiori del campo, l’amore ci fa fiorire là, dove siamo stati seminati. In qualunque condizione viviamo, se non presumiamo troppo da noi, se non ci riteniamo più di ciò che siamo, possiamo essere un fiore sbocciato. È la storia di Maria, piena di Grazia, cioè di bellezza, che si è conservata dall’inizio alla fine umile e povera ed è fiorita dove Dio l’ha chiamata.
Un fiore così Dio non l’ha lasciato appassire, non lo ha reciso. L’ha subito trapiantato nel suo giardino. Il sentire popolare lo ha intuito fin dall’inizio della storia cristiana.
Il popolo cristiano riferisce questa meraviglia innanzitutto a Maria, la Madre. Lei è il prototipo, dove una storia d’amore ha preso carne in senso pieno.
Tale però è anche questa la nostra destinazione.
La festa di questo tempo d’agosto non potrebbe avere un motivo più straordinario e, al tempo stesso, concreto. Proprio come l'amore.