Venga il tuo regno!
Viviamo tempi difficili per la fede. Abbiamo perduto il sostegno di quegli orientamenti del costume e della cultura che accompagnavano le persone a elevarsi al di sopra della natura. Non è più riconosciuto da tutti che l’umano sia più della chimica del proprio organismo. Neppure la percezione e la definizione del corpo sono più sicure e riconosciute. All’analisi scientifica risultano, infatti, solo organi, cellule, sinapsi, neurotrasmettitori.
Sembra non esista più un linguaggio con cui dire Dio. Il mondo stesso, anzi, è sempre più descritto e vissuto, senza cause e senza fini, frutto del caso e regolato dalla pura necessità, quella descritta dalle scienze. L’annuncio della fede pare stroncata nel nascere dall’indifferenza di chi dice: “Senza Dio si vive lo stesso”.
Questa disarmante constatazione, però, stabilisce le disposizioni, in un certo senso più idonee, nei confronti della fede. Il Dio cristiano, infatti, esige il linguaggio della gratuità, del dono, della grazia e si diffonde con la dinamica dell’incontro e dell’amore, più che con quello del convincimento e del proselitismo (Gesù infatti ordinava spesso ai discepoli di non dire ad alcuno che egli era il Cristo).
Il dono della fede introduce alla più grande beatitudine, quella dei poveri nello spirito. Essa riassume l’atteggiamento del credente: fede è affidarsi totalmente a Dio.
Il passo evangelico di oggi ci pone come modello la donna cananea e la sua fede incrollabile. La fede può essere indicata meglio con la parola “fiducia”. La fede non è quindi un’opzione intellettuale, teorica, che ha come oggetto una dottrina, ma una condizione esistenziale, che ha come finalità l’amore di Dio e il suo aiuto. In una situazione concreta di disagio, la donna Cananea si rivolge a Gesù, sicura di essere aiutata. La sua fede è insistente, coraggiosa, umile, più forte dell’apparente rifiuto.
La fede deve essere nel contempo paziente e sicura, umile e determinata. Non deve lasciarsi scoraggiare nemmeno dal silenzio di Dio. Questa donna sembra quindi incarnare bene la condizione del credente nelle nostre società altamente secolarizzate.
La storia della fede ha testimoniato lo splendore che ha raggiunto la santità delle donne e degli uomini che hanno pregato con fede: “Venga il tuo regno”. Non hanno solo implorato “Signore, Signore” (Mt 7,21) ma hanno resistito al silenzio di Dio e si sono dati da fare (Gv 6,27). Sono stati impazienti nel desiderio che il suo progetto diventasse per loro assoluto ed effettivo: “Sia fatta la tua volontà”.
La difficoltà della trasmissione della fede deriva dalla crisi della comunicazione della speranza. Non si giunge alla fede mediante una dimostrazione razionale delle sue ragioni, ma attraverso la possibilità di far luce sulla storia concreta dell’umanità. Individuare le tracce della trascendenza, della venuta di Dio, coincide con il riconoscimento dei motivi di speranza, che si svelano nella libertà del suo dono.