Io vivo e voi vivrete


La vita è un bene assoluto: valore primario rispetto a tutti i beni che si possono godere. Un bene che si riceve, non si crea; si amministra e non si possiede. La vita precede tutte le istituzioni umane. Precede anche la scienza con le sue scoperte. La vita è l'unica distinzione che conta e che stabilisce lo scarto con ciò che non è vita. Non esistono invece vere distinzioni interne alla vita, tra una vita e un'altra. La spinta originaria che istituisce la vita contiene in sé, fin dall'inizio, la capacità di evolvere, di autodeterminarsi, nell'inesauribile ventaglio delle singolarità e diversità.
Dal punto di vista della biologia la vita ha valore dal momento in cui è vita. Non ha senso il confronto con un'altra vita, per stabilire quale delle due sia più adatta, più "viva". La distinzione che operiamo tra vita e vita è solo osservazione di diversità. Le differenze possono essere interpretate esclusivamente come esuberanza e ridondanza. La vita non può che essere diversità. Bella brutta, sana malata, ricca povera, sono esempi di coppie di aggettivi che si applicano alle diverse forme di vita ma che nulla dicono di essenziale su di essa. L’accettazione della forza della vita è indispensabile per esistere. Essa richiede di passare dal confronto di valore tra le varie forme in cui la vita si esprime, all'unica distinzione vita/non vita; dal corpo forte o debole, bello o brutto, sano o malato, al corpo senza aggettivi.
Il sentimento fondamentale della vita è percepito solo nell’amore, dove usciamo da noi stessi e ci abbandoniamo senza riserva al piacere di vivere. Nell’amore, infatti, ci scopriamo felici. Soprattutto diventiamo umani, quindi anche vulnerabili al dolore della separazione, all’angoscia della perdita, all’inquietudine della mancanza. La forza invincibile dell’amore ci rende anche ribelli, irriducibili alla rassegnazione, quando la vita è disprezzata, trascurata, distrutta. Prima però viene l’amore, poi la sofferenza. Prima la pace della vita amata, poi la lotta per la vita menomata. La gioia è più originaria del dolore. Sempre noi vogliamo che il dolore passi e che la gioia resti. Sperimentiamo esattamente ciò che diceva Nietzsche: “Ogni piacere vuole l’eternità”. Vita eterna, come pienezza e abbondanza (Gv 10,10), qualificazione divina della vita umana.
L’amore per la vita rende vivi. L’eterno, vissuto in questo amore, costituisce la festa della vita. La preghiera è innanzi tutto l’esultanza per la felicità dell’esistenza. “In alto i cuori!” sollecita la liturgia. La gioia è più originaria della fede. L’amore è la gioia in una vita riempita da Dio. Che altro aspetta Dio, il cui nome è “amore” che la felicità di chi ama gratuitamente e prima di ogni risposta? Dio non ha bisogno di nulla, neppure della lode, ma trova gioia nel cercare i perduti. Per questo Gesù era “amico di peccatori” (Lc 7,34). Con essi celebrava il banchetto messianico, l’invito esclusivo a “entrare nella gioia del tuo Signore”. Perdonando il peccato restituiva dignità, valore e stima. Accogliendo i fuori legge ridonava nuove possibilità di vita. L’attenzione che dimostrava per i disprezzati testimoniava il diritto della grazia, la premura per gli emarginati spiegava il diritto dell’amore.
Ritrovare una persona persa è un evento simile a ridare vita ai morti (Lc 15,32).
La fede autentica è la festa della vita, la speranza cristiana l’anticipo della gioia del futuro.

 




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