La potenza di un incontro


“Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e credete al vangelo” La catechesi che Marco rivolge alla sua comunità si sintetizza così.
Si parte sempre dalla fedeltà al proprio tempo. La fede è risposta ai segni dei tempi. Questo nostro tempo ha le sue caratteristiche distintive: una diffusa caduta di speranza e di fiducia nel futuro e, soprattutto, la perdita della fede, in particolare nelle nuove generazioni.
La maturazione cristiana comporta il cambiamento della mentalità e del costume, attraverso un itinerario spirituale in cui si passa dall’uomo vecchio all’uomo nuovo, che in Cristo trova la sua perfezione. La pesantezza dell’esistenza ferita, la fragilità della vita, non si risolve solo nell'impegno morale. Ha ragione s. Agostino quando raccomanda: “Giù le mani da te stesso!”. Il volontarismo produce solo guai. Gesù, infatti, pone a modello del credente il bambino ("Se non diventerete come bambini non entrerete nel Regno" Mt. 18,3). I bambini non sono campioni di volontà. Sono piuttosto immagine dell’immaturità capricciosa che non sa decidersi e che continuamente si contraddice (“Vi abbiamo suonato il flauto e non avete ballato” Lc. 7,32). La formidabile grazia dell’infanzia è la sua indomita curiosità spinge al nuovo. Il bambino sa che deve crescere e lo desidera; vuole essere quello che ancora non è.
L’immagine del Vangelo e l’esempio della chiamata dei primi discepoli sono eloquenti.
La novità strepitosa dell’incontro con Gesù assomiglia a una folata di vento: ti prende e ti solleva, se lo lasci fare. Basta aprire le ali, come il passero che non sa ancora volare, è il vento ti porta in alto. Il più è fatto. I discepoli si sentono presi e conquistati. Non si decidono dopo lunghi ragionamenti e domande su cosa capiterà. Gesù non presenta loro alcun programma. Chi è sempre lì, indeciso e perso nei calcoli delle perdite e dei guadagni, non è adatto al Vangelo (Lc 9,6-2).
Si frequentare la parrocchia per “vedere” Gesù. La parrocchia non ha motivo di chiamare a sé le persone se non per parlare loro di Gesù in modo che, incontrandolo personalmente nel suo Spirito, possano fare un’autentica esperienza umana e religiosa. Giovanni, nella sua lettera, lo scrive nel modo più chiaro. “Quel che era dal principio, quel che abbiamo udito, quel che abbiamo visto con i nostri occhi e le nostre mani hanno toccato (…) noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi”(1Gv 1,1).
Chi frequenta la parrocchia deve poter sentire risuonare l’annuncio essenziale, come si propagò fin dall’inizio: “Gesù è il Signore”, il crocefisso risorto. La fraternità che si crea non può che essere intesa come immagine e segno della vicenda d’amore che si è consumata al Golgota.
Anche se le persone non sempre domandano alla parrocchia ciò che essa ha il compito di offrire, gli operatori pastorali cercano di formulare chiaramente la loro proposta: per centrare la parrocchia su Gesù è indispensabile affermare che il punto di partenza è l’ascolto e la comprensione della sua Parola e il punto di arrivo la comunione con lui (preghiera e pratica dell’amore). La messa è punto di partenza e di arrivo, insieme.
La persona di Gesù è il volto luminoso di quella misteriosa presenza alla quale l’esperienza umana è fin dall’inizio aperta, la piena rappresentazione di ciò di cui siamo in attesa (il tempo è compiuto). La catechesi (comunicazione della fede) prima di tutto racconta di Gesù, come era lui come uomo e perché la sua vita è stata bella buona e felice. Nulla, quindi, è importante quanto la vita storica di Gesù: che sia nato povero, che abbia predicato il Regno di Dio e non la rivolta contro i romani, come e perché sia morto ucciso in croce. Cosa significa che è risorto e che è sempre con noi? Cosa vuol dire incontrarlo nella messa? La storia di Gesù è sempre stato fecondo principio riformatore della chiesa.

 




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