Il fascino perduto della bella storia


A noi umani piace tanto narrare e ascoltare storie. Quando c’incontriamo abbiamo sempre qualche fatto, qualche evento, qualche novità da raccontare Romanze e film non finiranno mai. Ascoltare e vedere storie ci commuove, ci cambia. All’origine dei momenti importanti della vita ci sono fatti ed esperienze che poi sono diventati storie. Le storie personali formano la nostra individualità. I racconti familiari uniscono la nostra famiglia. Le narrazioni collettive danno identità al popolo. I fatti che non diventano storia tramontano subito e restano inefficaci.
La bibbia è uno straordinario libro di racconti: la storia sacra. Noè, Abramo, Mosè, i profeti sono personaggi conosciuti da tutti e da secoli. Questa lunga storia è continuata con altri personaggi ancor più conosciuti come Gesù di Nazareth, Pietro il galileo, Paolo di Tarso. Un intreccio di storie e di terre.
Gesù amava molto raccontare storie. Chi li ha sentite e le ha scritte le ha chiamate: la buona novella, l’evangelo: bella storia.
La sua predicazione avviene in parabole, racconti che tutti possono comprendere, perché riguardano gli affetti della vita quotidiana e le storie quotidiane della vita: il lavoro, la casa, il denaro, la cura del debole e del vulnerabile, i padri e i figli. La rivelazione che salva il mondo avviene nella vita quotidiana della gente, fuori dai grandi eventi che non diventano racconto e storia. L’annuncio è formulato in parabole, in modo che ognuno possa decidere, secondo la propria consapevolezza e sia garantita la libertà di aderire senza condizionamenti. Gesù racconta ma esclude la propaganda e il proselitismo.
Nel vangelo di oggi, Gesù commenta i fatti di cronaca del momento. Non si ferma alla chiacchiera ma invita a pensare, a riportare gli eventi alla propria coscienza, a diventare protagonisti di una storia nuova: “Se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo”.
Dopo la risurrezione Gesù manda i discepoli nel mondo: “Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni (…), insegnate loro ciò che vi ho raccontato » (Mt 28). Gli fa eco Marco: “Allora essi partirono e predicarono dappertutto” (16). La nuova missione è una storia buona e bella storia da raccontare.
I vangeli sono racconti: innanzitutto della risurrezione di Gesù (At 2,32) , poi della sua passione e morte. E dopo, quell’intreccio di fatti e parole-parabole durato circe tre anni.
Quel racconto è giunto fino a noi. Noi lo abbiamo accolto; ci ha convinto, ci ha entusiasmato. Ora tocca a noi trasmetterlo, raccontarlo ad altri, rappresentarlo davanti alle nuove generazioni. Noi siamo però al centro di una grave crisi della fede. I nostri racconti non attraggono più, non ci fanno sognare, non alimentano emozioni e sentimenti, non creano nuove comunità. C’è un problema di narrazioni e di fascinazione. Sono cambiati i codici narrativi: parole e simboli che prima erano capiti da tutti, adesso non dicono più. Nel rapporto tra le chiese e il mondo viviamo una crisi di codici narrativi. Non riusciamo più a tramandare i racconti ricevuti. C’è carestia di parole e di narrazioni che possano incantare , trascinare, convincere. Siamo diventati quel fico sterile che ha incontrato Gesù e ci vorrà molta pazienza a ricostruire ciò che è andato perduto. Abbiamo bisogno di nuove parole per generare nuovi racconti. Il nostro non è un tempo di entusiasmo ma di stanchezza e disincanto. La storia di Dio però continua, ne siamo certi: “Ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo». Sono state le ultime parole di Gesù riportate nei vangeli. Questa compagnia di Gesù però si deve vedere nella gioia e nella commozione delle nostre assemblee domenicali, nella festosità dello stare insieme davanti a Lui dei bambini, de giovani e degli adulti. Nelle assemblee liturgiche c’è scarsità di questa gioia. Possiamo fare di più: “zappare attorno e mettervi il concime”. La nostra missione è “portare frutto per l'avvenire”, dalla storia che oggi saremo capace di raccontare.

 




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