La virtù della povertà
Si può essere poveri e felici. C’è una virtù nella povertà e Gesù la chiama beatitudine.
Non è la condizione della miseria e del bisogno. Non c’è felicità quando mancano le cose necessarie. Non si sta bene senza lavoro, senza casa, senza il cibo sufficiente.
Esiste invece una condizione di povertà (oggettiva, non ideologica) che è una scelta di vita, una virtù, e costituisce la condizione essenziale per godere le cose, gustare la vita, vivere in armonia con sé e con la natura, in pace con tutti.
La nostra epoca ha conosciuto la forza disumanizzante della ricchezza, l'ave¬re che spegne l'essere, il benessere dove l'inutile diventa il tutto, la ricchezza come criterio di vita e mentalità che tutti accomuna e affratella con il suo carico di violenza, di arroganza, spreco e disprezzo delle cose e delle persone. Abbiamo conosciuto a livello mondiale il tragico dell’arroganza economica e della stupidità, come si è manifestata nella crisi del 2008. Oppresse da debiti accumulati in anni di consumo smodato, centinaia di milioni di famiglie hanno capito di essersi indebitate fino al collo per riempirsi di cose pressoché inutili. È divenuta evidente l’insensatezza dell’incessante accumulo di beni materiali che poco o nulla aggiungono alla felicità e al benessere personale. È necessario il risveglio di coscienza collettiva: fermarsi e invertire la marcia.
La beatitudine della povertà è il cammino di vita di chi, nella scelta dell'essenziale, nella rinuncia di ciò che è vano, si avvia a una nuova esperienza dell'avere e dell'essere. Questa esperienza è paradossale: la povertà si trasforma in ricchezza e gioiosa pienezza di tutto ciò che è umano e vitale.
Accogliendo la beatitudine della povertà, si diventa co¬scienza critica della società del profitto, della forza irresistibile del calcolo del vantaggio che governa bisogni e desideri. È la soffocante tristezza di un mondo ordinato sull'idea dell’utile, dove si lavora disperatamente, per non cadere in preda alla disperazione.
Secondo l’antico racconto biblico è la creatura umana che affida il nome alle cose. Nel mondo della ricchezza sono le cose che assegnano il nome all'uomo: la persona è considerata per le cose che possiede.
L'atteggiamento del povero si ritrova nell'espressione della liturgia che insegna l'inchino davanti alle cose. Al cuore del povero nulla è banale, tutto vale, tutto è grazia. Anche le cose sono mistero: sono di più di quanto appare; non sono mero oggetto, non si riducono a "possesso". Le cose non hanno solo un costo, hanno un valore. Per il ricco le cose sono solo denaro, "prezzo".
La saggezza insegna quindi a essenzializzare la vita, a semplificare, a ridurre le pro¬prie esigenze, a essere lieto dell'essenzialità. Le cose sono utili e preziose. Vanno amministrate con intelligenza. Noi non siamo nulla senza di esse. Averne è condizione per il soddisfacimento del nostro bisogno, è garanzia della nostra sopravvivenza e della nostra dignità. Nessuno deve rimanere digiuno delle cose (anche di quelle "inutili": il vino a Cana di Galilea!). A ognuno deve essere dato "secondo il suo bisogno" (Atti 2,42). Il pane è preoccupazione e domanda quotidiana della preghiera cristiana. La domanda dei discepoli "dove prenderemo tutto il pane... ?" è presa sul serio dall'agire di Gesù.
Non abbiamo il diritto di sprecare le cose. Il debito ambientale spaventosi che abbiamo accumulato è un delitto verso l’umanità.
Anche il denaro è realtà sacra: c’è una facilità ed un'inavvertenza nello spendere che è una forma grave di egoismo e di stupidità.
Lo stile di vita consumistico e edonistico è inconciliabile con la qualità umana dell’esistenza.
La virtù della povertà non è quindi disprezzo ma amore appassionato per il valore e la bellezza di tutte le cose, coscienza piena della loro preziosità ed essenzialità. Se ce n’è richiesto il distacco non è per disistima o, peggio, per sufficienza, ma perché delle cose ritroviamo il senso, recuperiamo il rispetto e la riverenza, come davanti a un’esperienza del sacro.
La via d’uscita della nostra crisi economica e umana non può che essere il ribaltamento dell’intero sistema economico: comprare di meno, risparmiare di più, condividere le proprie cose con gli altri. Al consumo incontrollato può subentrare un’economia di condivisione. Sono scelte concrete e quotidiane. Tutte alla nostra portata.
Venerdì 3 a Dogliani (via Torino 227): la terza importante opportunità di creare punti rete, per un'economia equa e di condivisione
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