Quale Dio?
Gesù raccontava la qualità paterna di Dio con solo parole ma con i suoi comportamenti, con il suo modo di stare in mezzo agli uomini. Guardando i comportamenti di Gesù vediamo Dio (“Chi vede me, vede il Padre” Gv 12,45). C’è la contemplazione del padre, la conoscenza del cuore di Dio. ".
Gesù accoglie con premura e simpatia fino a mangiare con loro quelli che erano esclusi. Era il suo atteggiamento abituale: “Si avvicinavano a Gesù tutti i pubblicani e i peccatori per ascoltarlo. I farisei e gli scribi mormoravano: "Costui riceve i peccatori e mangia con loro” (Lc 15,1). Tutti sono peccatori ma alcuni lo sono visibilmente. Gesù li va a cercare, va ad alloggiare da loro (Mt 9,10). Mostrava la sua simpatia verso chi era lontano e perduto: “Sono venuto a chiamare i peccatori” (Lc 5,32). Facendo questo Gesù raccontava sua Padre, che nel battesimo gli risponde: “Io mi specchio in te, mio figlio amato”.
Gesù racconta la parabola del Padre misericordioso provocato dalla mormorazione degli uomini che si ritenevano giusti.
UN padre aveva due figli… Il figlio minore reclama la sua eredità per disporne completamente. L’eredità va divisa alla scomparsa del padre. Quel figlio chiede quindi una cosa ingiuriosa, come se volesse il padre morto. Vuole anticipare ciò che dovrà succedere. E il Padre divise la vita (ton bion). Quel figlio snte il legame con il padre, come un limite alla libertà. La casa gli appare come una prigione. Si sente schiavo; vuole conoscere l’indipendenza. Il Padre, “che ci formato nel seno di nostra madre”, spesso è sentito come una presenza esigente, una volontà che urta con la nostra, una presenza che porta un limite. Il padre ci ricorda che non siamo soli e che non possiamo avere tutto e subito. Tentati dal male sentiamo Dio come un limite, il legame con lui come prigione, ascoltare la sua parola come oppressione. Dio è presente per dare costantemente vita e senso ma può diventare per noi presenza opprimente. Questo è il nostro peccato. Partiamo senza un traguardo, ci basta andare lontano. Fuggendo da Dio imbocchiamo un cammino mortifero per noi. Imbocchiamo la strada del male, frutto delle nostre azioni e scelte. Appare la degradazione, la perdita di quello che abbiamo e di quello che siamo, in una fuga sterile e illusoria. Dio ci ama anche quando non siamo buoni. Il padre della parabola non ha opposte resistenze, non ha impedito la scelta del figlio, anche se sapeva la sofferenza che lo attendeva e che avrebbe colpito anche lui. L’uomo può negare Dio, lo può disprezzare e volerlo “morto”.
Quel figlio incomincia a provare il bisogno: sperperati i soldi viene la penuria e la comunanza con i porci. Perde ogni relazione; le carrube nessuno gliele dava. Il bisogno non ci rende automaticamente migliori, nella sofferenza si può diventare anche più cattivi. Crea però le condizioni che invitano a interrogarsi. Il benessere invece intontisce. Nella ristrettezza del bisogno o della sofferenza si inizia a pensare. Il figlio incomincia a leggere il fallimento di ciò che ha fatto, ma è un processo psicologico profondo, carico di sofferenza. Noi arriviamo a capire che ciò che abbiamo fatto è male soltanto dal male che ci siamo fatti e ci vuole tempo per capirlo. Sovente i nostri peccati, frutto di seduzione, ci appaiono belli e piacevoli e vorremmo farli sempre. Solo alla lunga scopriamo che sono male, perché conseguenza di illusione. Il figlio inizialmente pensa solo allo star bene: pensa ai salariati, non pensa al padre. Lui ha fame e deperisce, i salariati del padre hanno cibo. Dopo aver fatto il peccato si sente un sordo senso di colpa ancora opaco, una certa colpevolezza oscura. Non è ancora riconoscimento del male fatto. Il processo può arrestarsi, per molti. Aumenta anzi la devastazione, l’illusione di trovare scampo nella fuga delle droghe e di altri anestesici. Poi inizia ad aver consapevolezza di aver rotto il legame con il padre. Non si converte ancora. Vuole solo ritornare per avere da mangiare, non per riconciliarsi con il padre. Offre un baratto: io ti chiedo perdono ma tu fammi un salariato. “Ancora lontano il padre lo vide”. Il figlio è ancora lontano dal cuore dal del padre. Lo attendeva da quando era partito, continuava ad amarlo, anche quando il figlio era cattivo. Dio ci ama sempre, anche quando siamo cattivi. Non ama il nostro peccato ma continua ad amarci nel nostro peccato. Lo ha visto da lontano perché lo aspettava da sempre. Gli corre incontro e “continuava a baciarlo”. Nessun interrogatorio, nessuna punizione. Un amore preveniente, sempre fedele, che continua ad amare anche quando il figlio non lo ama più. Non chiede reciprocità.(“ Dio dimostra il suo amore verso di noi perché, mentre eravamo ancora peccatori, Cristo è morto per noi” Rom. 5,8) In quell’abbraccio il figlio risorge. Quello è il gesto e il momento in cui si è convertito. Ora può capire che il padre lo ama gratuitamente. Non è restato in casa, non ha aspettato le scuse. È andato incontro e non gli ha lasciato neppure dire le parole che si era preparato. Ritrova chi era morto. Vuole fare festa. Il peccato ora non lo ricorda più. La parabola avrebbe potuto finire qui. Ma appare il figlio maggiore, con il suo risentimento e la sua gelosia. Egli on può tollerare in nome della giustizia che quel ”tuo figlio” sia causa di gioia. Ha dilapidato, non ha fatto avere notizie, mentre lui lavorava e faticava. Questa festa non può essere celebrata. Di nuovo il padre va incontro. Non lo chiama, esce un’altra volta di casa. “Lo pregava con insistenza”. Questo figlio vanta una fedeltà, mette davanti la sua giustizia. Lui non ho mai trasgredito. Il figlio che si definisce virtuoso in realtà è solo un mercenario. Si era impegnato come un salariato e adesso accusa il padre. Si dimostra uno schiavo che non hai conosciuto il cuore del padre. E’ vissuto anche lui senza libertà e senza amore. Il padre può ben dire: “Il mio è anche tuo. Tu sei sempre con me. Il capretto non dovevi domandarlo, avevi la libertà di prenderlo da te!”. Il padre lo prega di accogliere la risurrezione del fratello. Il figlio maggiore vanta la sua obbedienza: In realtà si rivela più disobbediente che mai. Termina il racconta, ma non finisce. È entrato il fratello alla festa? Il banchetto ha potuto iniziare? Il padre ha potuto parteciparvi se il figlio maggiore continuava a disobbedire?
Questo racconto ci chiede di interrogarci su quale immagine di Dio abbiamo? Ci parla dell’amore folle di Dio e ci dice che la conversione è provocata dalla misericordia. Dio ci chi chiede solo di accoglierla.
Ci dice: “Se ti credi giusto pensa se non rischi di essere come il figlio maggiore, che non può partecipare alla festa e rimane nel suo odio. Se ii senti peccatore sappi che Dio ti aspetta e ti ama; ed è la festa più bella”