Padre!


Gesù è il modello dell’umanità riuscita, colui che ci insegna a vivere nel modo più autentico (Tt 2,12). Questo è avvenuto per i suoi discepoli, ma avviene ancora oggi per quanti conoscono Gesù, attraverso le parole e i fatti raccontati dal Vangelo.
Gesù non è venuto solo a «raccontarci» Dio ma anche a farci l’inestimabile dono della comunione con Lui. I Padri della Chiesa avevano chiara questa verità: «Dio si è fatto uomo perché l’uomo diventi Dio» (Atanasio). La divinizzazione dell’uomo consiste nel lasciarci trasfigurare dalla Grazia, ammettendo sinceramente la nostra radicale incapacità di amare perché sia Lui a introdurci in quell’Amore che solo può dare gloria a Dio e che, in nessun modo, può venire da noi. La vita cristiana consiste innanzi tutto nel «lasciarsi fare», per poi «darci da fare» per continuare a rimanere in Lui (Gv 15,4.7), aprendoci alla comunione che santifica.
La preghiera del Signore, il Padre nostro, è il più chiaro e il più completo riepilogo del messaggio di Gesù e della sua regola di vita.
«Sia santificato il tuo nome».
Riconoscere la santità di Dio significa accogliere il dono della fede, considerandolo reale come le cose che ci interessano, ci coinvolgono, ci appassionano. Significa diventare testimoni della forza di Dio, che libera e guarisce anziché basarci solo su di noi, che ci rende idealisti o ingenui. Significa anche trovare le parole giuste dell’attestazione di fede e pronunciarle in modo efficace, parlare quando, per comodità o interesse, preferiremmo rimanere muti, vincendo il timore di esporci. Può avvenire, infatti, che con il nostro comportamento rinunciatario riduciamo il Vangelo a lievito spento e sale senza sapore. Le indicazioni di Gesù sono chiare: «Così risplenda la vostra luce davanti agli uomini, perché vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli» (Mt 5,16).
«Venga il tuo Regno».
È l’invocazione dell’attesa, che si accompagna allo stupore e alla riconoscenza per la verità della Parola di Dio e per la saggezza della proposta evangelica.
Noi siamo portati, invece, a essere attenti ai nostri interessi, ad assolutizzare le realtà mondane e a dimenticare la sola cosa necessaria: nella vita tutto è Grazia: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre vostro è piaciuto di darvi il suo regno» (Lc 12,32).
Noi scambiamo così la proclamazione della fede con la passione per le nostre idee, l’umiltà del servitore con la prepotenza di chi si affida a sé, la gratitudine del discepolo con la superiorità di chi si sente sicuro.
«Dacci il nostro pane quotidiano».
Si chiede a Dio anche il pane quotidiano per ricordare che degradare il lavoro, base materiale della famiglia, sarebbe grave come una bestemmia, dal momento che tutto proviene dal Padre e tutto è destinato al Regno. Per questo il cristiano non fa della riuscita (carriera, stipendio...) il suo obiettivo: quello che desidera per sé, lo cerca per tutti, ama il prossimo come se stesso. Per lo più noi pensiamo che il pane non sia da chiedere ma da guadagnare per poterlo quindi trattare come cosa propria. Perdiamo così il valore della sobrietà e della misura, ci sentiamo indifferenti ai bisogni dell’umanità e al destino di chi succederà a noi, ci lasciamo conquistare dalla gratificazione istantanea delle cose concrete, dall’attrattiva del benessere e del piacere. Con questa concezione del lavoro e del consumo incrementiamo in questo modo la diffusa percezione che nella storia ci sia solo l’uomo e che l’uomo non abbia più nulla da attendere da Dio. Le cose buone, invece, provengono solo dal Padre: «Se voi dunque che siete cattivi sapete dare cose buone ai vostri figli, quanto più il Padre vostro che è nei cieli darà cose buone a quelli che gliele domandano!» (Mt 7,11).
«Rimetti a noi i nostri debiti».
Il perdono trae così fuori l’io dalla sua chiusura egocentrica e, nello stesso tempo lo fa emergere rigenerato: è l’esperienza più evidente della forza rinnovatrice dell’amore. «Siate misericordiosi, come è misericordioso il Padre vostro» (Lc 6,36). Il perdono è Grazia: nessuno può perdonarsi da solo, come nessuno può rinnovarsi da solo.
«Non ci abbandonare alla tentazione».
Contemplando la croce diventiamo consapevoli del mistero di iniquità (2 Ts 2,7) che governa il mondo.
Nella preghiera riconosciamo che la storia ha un fine che la sorpassa, una meta cui tende: «Il Padre vostro celeste non vuole che si perda neanche uno solo di questi piccoli» (Mt 18,14).
Per pregare convenientemente il Padre nostro e dire la nostra gioiosa fiducia in Lui, ci è chiesto un cuore umile e confidente come quello di un bambino (Mt 18,3), perché il Padre si rivela solo ai piccoli (Mt 11,25).

 




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