La vita bella e felice
Ponendo il racconto delle beatitudini all'inizio della predicazione di Gesù, Matteo ne fa il filo conduttore di tutta la sua vita. Le beatitudini non sono né una regola né un programma, tracciano piuttosto un cammino a tutti i cercatori di senso.
Prima di indicare l'ideale cristiano, le beatitudini descrivono la figura di Gesù, nei suoi comportamenti e nelle sue scelte. La sua vita è stata bella (beata) perché spesa nell’amore (1Gv 4). La sua pratica di umanità, la sua vita bella e buona, ha raccontato in modo definitivo il volto di Dio che nessuno mai ha potuto vedere (Gv 1,18).
Nella formulazione di ciascuna beatitudine è visibile una tensione fra la prima e la seconda parte. La prima è caratterizzata da una condizione di mancanza e di umiliazione (povertà, sofferenza, persecuzione), la seconda da una sovrabbondanza di gloria (scoperta di ciò che vale e conta, il “Regno”, sollievo, speranza, visione di Dio). Questo significa che le beatitudini non sono la promessa d’interventi miracolosi e l’annuncio di una consolazione. Offrono piuttosto un significato nuovo alla storia, suggeriscono criteri diversi di giudizio e di azione. Il Vangelo non incoraggia alcuna forma d’immobilismo o di evasione. Tutto all’opposto.
C'è una sfida da raccogliere nelle beatitudini. Che cosa è più umano: amare o odiare? Farsi carico o passare oltre? Mettersi al servizio o esercitare potere? Affermare se stessi o farsi dono? Preoccuparsi degli altri o vivere nell’indifferenza?
Considerando la vita di Gesù si sciolgono i dubbi: vivere come lui è beatitudine, felicità piena. Entrare nel mistero della conoscenza e della vita di Dio significa percorrere la strada della realizzazione umana più piena.
L’incontro con la vulnerabilità aiuta a cogliere ciò che vale e conta e a scoprire la forza rivoluzionaria della gratuità. Il cuore non è comunemente raggiunto tramite la ragione, ma attraverso l’immaginazione (J. H. Newman), che è la facoltà delle nuove possibilità. Le persone oggi sono impercettibilmente private della possibilità di entrare in contatto con le loro profondità immaginative. La verità esistenziale può essere invece trovata quando l’intera persona è coinvolta. Alcune forme di conoscenza, infatti, sono accessibili solo attraverso l’amore. La forza della fede sta nel legame sociale che crea.
La nuova “religione dell’affetto” è incapace di questo. Non può rappresentare la convivenza sociale, non sa immaginare il futuro. Il sentimento di esistenza della collettività, la superiorità del fatto sociale, ha bisogno di modelli identificatori, di racconti coinvolgenti, di punti di bellezza e di verità. A questo mira il racconto delle beatitudini.
Le beatitudini tratteggiano un popolo, non un’élite. Il vangelo si realizza nel popolo delle beatitudini. Sono i poveri e i puri di cuore, i miti e gli afflitti, gli affamati e gli assetati di giustizia, i misericordiosi e i perseguitati, gli insultati e i calunniati che diventano i protagonisti del corso della storia e i rivelatori del senso della vita.
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